4 Novembre 2022

Intervista a Lucrezia Caon (Land and Water officer, FAO), che interverrà il 10 novembre agli Stati Generali della Salute del Suolo di Rimini: “Essenziale che i governi facciano ora le scelte giuste, anche se gli effetti si vedranno a lungo termine. La prima sfida? Educare”

di Emanuele Isonio

 

“I suoli mondiali sono stati ignorati così a lungo che ad oggi il 33% è degradato. E, se le pratiche di gestione continueranno a essere quelle attuali e se non si interverrà per tutelare questa importante risorsa, si stima che questa percentuale possa raggiungere oltre il 90% nel 2050″. L’allarme è inequivocabile. E a lanciarlo è uno dei maggiori esperti sul tema suolo: Lucrezia Caon, da otto anni responsabile FAO per Suolo e Acqua, coordinatore regionale per Asia, Pacifico, Medio Oriente e Nord Africa nonché coordinatore della rete globale di laboratori sul suolo (GLOSOLAN).

“Qualcuno potrebbe domandarsi perché la cosa ci dovrebbe interessare. Anche se volessimo tralasciare il ruolo che il suolo ricopre nella regolazione del clima, nel ciclo dell’acqua, nella preservazione della biodiversità, nella fornitura di antibiotici, non dobbiamo mai dimenticare che da esso dipende il 95% del cibo che consumiamo. Se questo non ci sembra ancora abbastanza, va ricordato che 828 milioni di persone nel mondo hanno sofferto la fame nel 2021 e 2.3 miliardi sono in uno stato di insicurezza alimentare moderata o acuta. E le proiezioni a futuro non sono delle migliori: si stima che l’8% della popolazione mondiale soffrirà la fame nel 2030. La degradazione del suolo colpisce direttamente il benessere di 3.2 miliardi di persone nel mondo”.

Dottoressa Caon, dalle sue parole emerge chiaramente il pericolo dell’inazione. Ma perché tanta sottovalutazione?

Temo sia in ampia parte figlia dell’ignoranza. L’ignoranza sul ruolo del suolo per la vita del pianeta (e per il benessere dell’uomo) é stata alla base della sua esclusione dalle convenzioni di Rio e dagli accordi internazionali sul tema ambiente in generale fino alla fondazione della Global Soil Partnership nel 2012.

Quali sono le principale minacce alla salute dei suoli?

Nel 2015, la FAO e il Panel Tecnico Intergovernativo sul Suolo della Global Soil Partnership (ITPS) ha identificato dieci minacce, definendone incidenza e tendenza in ambito mondiale e regionale. Nuovi dati verranno rilasciati nel 2025 con la pubblicazione della seconda edizione del Status of the World’s Soil Resources report.

In generale, le principali minacce alla salute dei suoli sono l’erosione, la perdita di materia organica, la perdita di biodiversità, la contaminazione e la perdita di nutrienti.

La mappa globale del carbonio organico del suolo (GSOCmap) ispira la sua omologa GSOCseq, anch’essa basata sulla raccolta e l’elaborazione dei dati. Immagine: FAO Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

La mappa globale del carbonio organico del suolo (GSOCmap) ispira la sua omologa GSOCseq, anch’essa basata sulla raccolta e l’elaborazione dei dati. Immagine: FAO Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

Ci sono aree mondiali che preoccupano maggiormente la FAO?

Dobbiamo imparare a pensare ai suoli come a delle persone. Diremmo mai che le persone sono tutte uguali? Certamente no, vero? Come le persone i suoli differiscono per età e “carattere” (le cosiddette proprietà del suolo). Al pari delle persone, i suoli sono suscettibili all’ambiente (clima, topografia e biota) ma anche al modo in cui vengono trattati (le pratiche di gestione a cui vengono sottoposti). Come le persone poi i suoli si possono “ammalare” (le famose minacce alla salute del suolo: erosione, contaminazione, perdita di biodiversità). E, esattamente come le persone, i suoli muoiono, quando il loro stato di degradazione diventa irreversibile.

Questa introduzione serve per capire una cosa: esistono suoli giovani e altamente produttivi, suoli vecchi che richiedono più cura nella gestione, suoli “malati” (i famosi suoli degradati) e anche suoli abbandonati. Come le persone, tutti i suoli meritano di essere tutelati, protetti e quando necessario “curati” (ripristinati).

Detto questo, quali sono i suoli più meritevoli di tutela?

Esistono indubbiamente dei suoli che sono di particolare importanza a livello mondiale. Sono i cosiddetti black soils. Questi sono suoli altamente fertili che contengono alte percentuali di carbonio organico. Cosa significa? Che in condizioni di clima favorevole possono dare delle rese agricole estremamente alte (raccolti abbondanti) ma anche che sono molto sensibili alla degradazione e alla perdita di quel carbonio organico che contribuisce a renderli cosi fertili. Purtroppo il problema non si limita alla perdita di fertilità del suolo perché il carbonio organico non viene perso come tale ma sotto forma di gas serra. Quindi, se degradati, i black soils possono considerevolmente favorire il cambiamento climatico. Tuttavia, se ben gestiti,  possono sequestrare carbonio ed essere i nostri migliori alleati per la lotta al cambiamento climatico e al raggiungimento della sicurezza alimentare mondiale.

I black soils sono così importanti che la FAO, tramite la Global Soil Partnership ha fondato un network internazionale a loro dedicato per promuoverne la conservazione e la gestione sostenibile, e ha inoltre da poco rilasciato una mappa mondiale degli stessi per promuoverne la conoscenza.

La mappa sui Black soils presentata durante la 10a sessione plenaria della Global Soil Partnership.

La mappa sui Black soils presentata durante la 10a sessione plenaria della Global Soil Partnership.

Inevitabile parlare a questo punto di strategie per cercare di invertire la rotta: quali azioni si sono rivelate più efficaci in base all’esperienza FAO?

Nei suoi 10 anni di esistenza la Global Soil Partnership si é dimostrata un valido meccanismo per sensibilizzare la popolazione sul ruolo del suolo e per promuovere l’applicazione di pratiche di gestione sostenibili e di good governance dei suoli. Fondamentali sono state la fondazione dell’Anno Internazione del Suolo nel 2015 e della Giornata mondiale del suolo che si celebra ogni anno il 5 dicembre.

Queste attività hanno contribuito ad attivare anche i governi sul tema e a facilitare l’implementazione di attività di capacitazione tecnica per la valutazione, mappatura, monitoraggio e gestione dei suoli. La pubblicazione dello Status of the World’s Soil Resources, il rapporto sullo stato mondiale dei suoli e delle linee guide volontarie per la gestione sostenibile dei suoli nel 2015 ha portato chiarezza su quali sono le maggiori minacce per il suolo e su come si debbano prevenire e gestire. Sulla base di queste pubblicazioni si sono lanciate attività tema-specifiche, organizzati simposi internazionali e fondati network internazionali per facilitare il dialogo sulle attività da promuovere a livello internazionale e le informazioni da divulgare.

Tutte iniziative che possono essere riassunte in una parola: educazione.

Educare é la parola d’ordine perché le persone si curano solo di quello che conoscono e capiscono. Infatti, é grazie a un estensivo lavoro di sensibilizzazione che il tema suolo é finalmente entrato negli Obiettivi di sviluppo sostenibile e nell’agenda politica internazionale. Questo fatto é di estrema importanza perché ha ulteriormente aiutato a convincere e coinvolgere i governi sulla necessità di proteggere il suolo e di agire il prima possibile. Con l’attenzione dei vari attori coinvolti nella gestione del suolo e il supporto dei governi si é riusciti ad implementare dei programmi a 360 gradi nei vari Paesi.

Uno tra tutti é il Global Soil Doctors, un programma che integra scienza e tradizioni locali, formando i migliori agricoltori di una data comunità sulla gestione sostenibile dei suoli affinché possano istruire e supportare altri agricoltori sul loro territorio. Altrettanto importante é decentralizzarsi e riconoscere e valorizzare le differenze territoriali. Per questo motivo la FAO motiva i suoi membri a fondare alleanze nazionali per il suolo come pure rami nazionali di network quali quello sui laboratori del suolo (GLOSOLAN).

Eppure il tema fatica a entrare nell’agenda politica dei governi nazionali. Basti pensare che l’Italia non ha ancora una norma che si preoccupi del degrado e del consumo di suolo. Perché questo succede, secondo lei?

I motivi sono molteplici. Ogni Paese ha la sua realtà. Semplificare è difficile ma in base alla mia esperienza mi sento di dire che in generale, a livello mondiale i motivi principali sono 2.

C’è innanzitutto una questione di incompatibilità tra i tempi di azione e di effetti tangibili. I governi cambiano rapidamente e i politici devono conquistare l’opinione pubblica per essere rieletti. Questo significa rispondere tempestivamente a richieste e crisi, dimostrando di aver fatto quanto promesso. Il suolo é un sistema complesso che ha bisogno di tempo per reagire alle pratiche di gestione imposte da una qualsiasi legge e per dimostrare quindi che quella legge ha effetti positivi. Questo tempo necessario è superiore a quello del mandato di un qualsiasi governo democratico.

Siccome “seminare” per poi far “raccogliere” i frutti e i meriti del proprio lavoro a qualcun altro non piace, spesso si sceglie di non fare niente.

C’è poi una seconda motivazione, secondo me: la gestione del suolo é legata all’agricoltura. E l’agricoltura significa tradizioni e cultura. Fare una legge che regolamenti l’uso e la gestione del suolo specialmente in ambito agricolo può risultare inutile se non si tiene in considerazione la cultura, le tradizioni e le convinzioni degli agricoltori locali. Queste vanno capite, valorizzate e considerate dal legislatore al momento di redigere la legge. Inoltre, una volta fatta la legge questa va promossa e spiegata agli agricoltori considerando che questi possono non fidarsi del governo o degli attori che devono poi far applicare quelle norme sul territorio. La disponibilità di servizi sul territorio é un altro problema che si aggiunge al grado di istruzione degli agricoltori:

quanto più aperta é la mente dell’agricoltore tanto più facile sarà implementare la legge.

Alcuni dei vantaggi legati a un ripensamento dei sussidi pubblici all'agricoltura secondo il rapporto del WRI.

Alcuni dei vantaggi legati a un ripensamento dei sussidi pubblici all’agricoltura secondo il rapporto del WRI.

E, da esperta, quali sono le azioni più urgenti da intraprendere a livello nazionale?

La gestione sostenibile dei suoli deve rimanere una priorità perché un suolo sano é un suolo produttivo che ha, tra le altre cose, la capacità di sequestrare carbonio e quindi di contrastare il cambiamento climatico. Oltre a promuovere pratiche di gestione sostenibile dei suoli, bisognerebbe:

  • ripristinare i suoli degradati;
  • rafforzare le basi di dati nazionali e fare dei piani di uso del suolo sostenibili che tengano in conto anche dell’approvvigionamento idrico dei campi perché ormai é chiaro che non ci si può più affidare al meteo;
  • promuovere la collaborazione tra enti e attori che operano nel territorio. Questo va oltre le istituzioni, bisogna lavorare con gli agricoltori e valorizzare le colture locali che vanno inserite in rotazioni di colture sostenibili;
  • educare le persone al consumo. Il consumatore deve sapere cosa sta comprando, cosa c’è dietro la produzione e il consumo di un bene, e cosa ne può essere di quel bene una volta consumato. L’efficace raccolta del rifiuto organico e la sua trasformazione in fertilizzante organico aiuterebbe molto a preservare la salute dei suoli e ad ammortizzare anche gli effetti dell’attuale crisi dei fertilizzanti.
Un’ultima cosa, di stretta attualità. Il nuovo governo italiano ha deciso di aggiungere alla denominazione del ministero dell’Agricoltura, la dicitura “per la sovranità alimentare”: è possibile raggiungere quest’ultimo obiettivo senza preoccuparsi della salute del suolo?

No. Il concetto di sostenibilità é nella definizione stessa di sovranità alimentare. Pertanto, la gestione sostenibile dei suoli deve essere integrata alle misure che verranno attuate per raggiungere una qualsivoglia sovranità alimentare. Questo é più che mai importante considerando le sfide che il settore agroalimentare sta affrontando, dalla necessità di produrre di più, al cambiamento climatico che sta portando fino al 40% di perdite delle rese in alcune regioni d’italia secondo dati di Coldiretti.

Tutto é collegato e non può essere trattato a compartimenti stagni.