I molti anni di ricerca hanno reso il compost, anche ottenuto dai rifiuti solidi urbani, sempre più sicuro ed efficace per riportare sostanza organica nel suolo, liberandosi dalla necessità di ricorrere a fertilizzanti e prodotti chimici. L’attuale congiuntura internazionale dimostra l’importanza di procedere in questa direzione
di Giovanni Gigliotti*
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L’uso in agricoltura del compost da rifiuti urbani vede la luce in Italia quasi 40 anni or sono, regolamentato in maniera frammentaria e con provvedimenti spesso in contrasto tra di loro.
I compost di cui stiamo parlando provenivano da frazioni organiche ottenute per separazione meccanica, risultavano inquinati dalla presenza di abbondanti plastiche, vetri, materiali ferrosi e, soprattutto, metalli pesanti con limiti di legge elevatissimi, oggi ritenuti del tutto inaccettabili. In quell’epoca, probabilmente, si guardava maggiormente alla necessità dello smaltimento più che al reale valore ammendante del compost.
I compost attuali garantiscono elevata qualità
Da quel momento ha inizio comunque in Italia, ma anche nel resto d’Europa, una intensa attività di ricerca, volta inizialmente a mettere in luce le caratteristiche fertilizzanti dei compost e l’impatto che il suo uso poteva avere sul sistema suolo, acque di falda, pianta, per poi spostarsi sulla necessità di un miglioramento continuo e sempre più stringente della qualità dei compost prodotti, compatibile con la salute del suolo.
Oggi, la necessità assoluta di sostanza organica per i suoli si coniuga in pieno con l’elevata qualità dei prodotti, grazie anche ad una legislazione puntuale che vede limiti minimi per i nutrienti e massimi per gli inquinanti che garantiscono un’elevata qualità agronomica e ambientale degli ammendanti compostati prodotti.

La presenza di carbonio organico nel suolo nell’UE – 2015 (g/kg). FONTE: JRC, 2018.
Rese agricole garantite e costi inferiori
Se diamo uno sguardo alla situazione internazionale, al mercato delle materie prime, anche quelle utilizzate per la produzione dei fertilizzanti, ci rendiamo conto di come il compost possa e debba essere visto come una opportunità unica per assicurare rese agricole comparabili a quelle ottenibili con i fertilizzanti minerali. Per di più con costi di produzione inferiori. Ciò permette, almeno in parte, di sostituire con risorse interne e provenienti da materiali altrimenti destinati a smaltimento, materie prime con costi sempre più elevati e volatili.

Costo di alcuni fertilizzanti. Confronto tra febbraio e marzo 2022. FONTE: Agronotizie su dati SILC Fertilizzanti.
Azoto e fosforo
Infatti, dobbiamo guardare al compost non solo come fonte di sostanza organica di elevata qualità, ma anche come fonte di elementi della nutrizione vegetale, in primo luogo azoto e fosforo, ma anche di microelementi importantissimi per l’ottimizzazione delle produzioni, quali ferro, manganese, rame, zinco. Limitandoci ai due macroelementi, i prezzi dei fertilizzanti azotati, in primo luogo dell’urea, sono elevatissimi e questo già da prima dell’inizio del conflitto in Ucraina e oggi ancora di più. I fertilizzanti fosfatici, oltre all’elevato costo, scontano anche una produzione poco sostenibile da un punto di vista ambientale, visto che hanno come origine le rocce fosfatiche la cui estrazione ha un forte impatto e, come tutte le risorse non rinnovabili, destinata all’esaurimento.
Da un punto di vista tecnico, l’azoto contenuto nel compost è per almeno l’80% del totale in forma organica, sicuramente non immediatamente disponibile per la nutrizione vegetale, ma con il vantaggio di un lento rilascio che accompagna la crescita della pianta e risulta non lisciviabile verso la falda, con indubbi vantaggi ambientali. Indiscutibile anche l’elevato valore tecnico che dobbiamo attribuire al fosforo. In molte ricerche è stato dimostrato come il fosforo contenuto nei fertilizzanti organici sia protetto dai fenomeni di insolubilizzazione che si verificano nel suolo a carico dei fosfati minerali.
Il compost da rifiuti solidi urbani
Negli ultimi anni, da molte parti si mette in evidenza come la produzione e l’utilizzo in agricoltura del compost non sia sempre sostenibile. La produzione del compost da FORSU presuppone la raccolta differenziata dei rifiuti, con purezza della frazione organica molto elevata se si vuole ottenere un fertilizzante compostato conforme a quanto dettato dal D.Lvo 75/2010 e s.m.i.
La raccolta differenziata ha naturalmente un costo e spesso si contrappone alla termovalorizzazione dei rifiuti. Questa impostazione non può che vedere contrari tutti coloro i quali da anni si battono affinché tutta la sostanza organica di rifiuto e di recupero di elevata qualità non possa che avere come destino il ritorno al suolo, luogo d’eccellenza per la chiusura del ciclo del carbonio organico.
Altro appunto che si muove al compost è l’elevata emissione di anidride carbonica durante il processo, del tutto naturale visto che si tratta di una stabilizzazione aerobica dei rifiuti. Questa affermazione non può però non tenere conto dell’intero ciclo della materia, e non soffermarsi alla fase di processo. L’intero ciclo prevede infatti l’interramento del compost che come prodotto finito, per sua stessa definizione, contiene sostanza organica stabile e matura che andrà ad aumentare lo stock di carbonio nel suolo e in particolare proprio la frazione più stabile. Inoltre, in un’analisi completa, bisogna considerare la crescita della coltura fertilizzata con il compost, con tutta la sua biomassa derivante dal processo di fotosintesi. Biomassa che, a seconda della coltura, in parte potrà essere interrata dopo la raccolta.
I vantaggi del processo integrato anaerobico/aerobico
Naturalmente quando vengono posti dubbi come quelli esposti, la ricerca e lo sviluppo tecnologico non possono non dare delle risposte. Proprio quelle risposte ci hanno portato ad una tecnologia ormai ben consolidata che prevede il processo integrato anaerobico/aerobico della frazione organica dei rifiuti solidi urbani. La tecnologia consiste nel sottoporre la FORSU al processo anaerobico con produzione di biogas, una miscela costituita all’incirca per il 60% da metano e il restante da anidride carbonica. Nella maggior parte degli impianti il biogas è sottoposto ad upgrading con produzione di biometano di qualità sufficiente per l’uso per autotrazione o per l’immissione nella rete di distribuzione del metano. Al termine del processo, il separato solido del materiale organico di risulta, al quale diamo il nome di digestato, viene sottoposto a compostaggio con produzione di un ammendante compostato misto conforme all’allegato 2 aggiornato del D.lgs 75/2010.
Appaiono immediatamente chiari i vantaggi del processo integrato, vantaggi che rispondono in pieno alle domande sopra ricordate. In primo luogo i costi. Con la produzione e la vendita del biometano vengono ammortizzati i costi elevati della raccolta differenziata e viene recuperata energia, al pari della termovalorizzazione. La produzione di biometano appare particolarmente importante soprattutto in questo momento storico, quando in tutta Europa si cerca ogni mezzo per ridurre la dipendenza dal gas russo.
Proteste immotivate
Nel passato gli impianti di trattamento rifiuti, anche quelli destinati alla produzione di biogas, sono stati spesso osteggiati dalla popolazione. Le ragioni ambientali addotte sono difficilmente condivisibili quando si parla di impianti che portano al recupero di materia (compost) ed energia rinnovabile, con emissioni in atmosfera, anche di odori molesti, perfettamente controllabili e controllate.
Oggi forse rimpiangiamo i tanti impianti la cui costruzione è stata bloccata per motivi non sempre basati su evidenze scientifiche. Essi avrebbero potuto contribuire ad affrontare la crisi del gas e un costo dei fertilizzanti che sta spingendo molti produttori a rinunciare alla corretta nutrizione delle colture.
Il compost prodotto dopo la digestione anaerobica mostra una qualità molto elevata. La provenienza da raccolta differenziata, in genere con sistema porta a porta, ne assicura infatti la dovuta purezza merceologica.
In secondo luogo, nel corso del processo integrato si registra una minore emissione di anidride carbonica. La prima parte del processo di stabilizzazione avviene infatti in ambiente anaerobico, con il 60% di produzione di metano e 40% di anidride carbonica, tra l’altro negli impianti più moderni recuperata a fini industriali.
Oggi il processo integrato riguarda già quasi il 50% della FORSU conferita agli impianti e il numero di impianti integrati cresce di anno in anno, anche se in maniera non uniforme sul territorio nazionale, come si può evincere dalle figure di seguito riportate, tratte dal Rapporto Rifiuti Urbani 2021, ISPRA.
* L’autore
Giovanni Gigliotti è ordinario di Chimica Agraria all’Università degli Studi di Perugia e Presidente della Società Italiana di Chimica Agraria.