La carenza di sostanza organica nei suoli mondiali è questione sempre più urgente. Ma intervenire non è semplice come si può pensare. Ecco a quali condizioni possiamo avere successo
di Stefania Cocco, Valeria Cardelli, Dominique Serrani, Lorenzo Camponi, Andrea Salvucci, Giuseppe Corti*
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La sostanza organica del suolo è l’insieme dei costituenti organici (resti di organismi vegetali e animali) presenti nel suolo a diversi stadi di decomposizione, sminuzzati dalla pedofauna (la fauna del suolo più piccola di 2 millimetri: collemboli, proturi, enchitreidi, isopodi, larve, aracnidi, ecc.) e dai microrganismi. La sostanza organica del suolo è un indicatore chiave per la resilienza dei suoli agrari, forestali o naturali, dal momento che contribuisce a determinare la loro fertilità fisica, chimica e biologica.
La decomposizione dei residui organici e la loro trasformazione in sostanze umiche sono processi che contribuiscono a rilasciare nutrienti in grado di mantenere le colture, i pascoli, i boschi. Tanti sono i processi di stabilizzazione fisica e chimica della materia organica che la proteggono dalla degradazione da parte degli organismi, degli enzimi e dell’ossigeno.

Organizzazione della rete alimentare del suolo. Modello semplificato dei diversi gruppi di organismi del suolo: i microrganismi, micro, meso e macrofauna sono raggruppati in tre categorie nella rete alimentare e la sua differenziazione funzionale. In primo luogo, la micro-rete alimentare (linee tratteggiate) comprende batteri e funghi, che sono alla base della rete alimentare e decompongono la materia organica del suolo, che rappresenta la risorsa di base dell’ecosistema del suolo, e i loro predatori diretti, protozoi e nematodi. In secondo luogo, i trasformatori della lettiera includono i microartropodi che frammentano la lettiera, creando nuove superfici per l’attacco microbico. Infine, gli ingegneri dell’ecosistema, come termiti, lombrichi e formiche, modificano la struttura del suolo migliorando la circolazione di nutrienti, energia, gas e acqua. Adattato da Coleman e Wall, 2015. FONTE: FAO State of knowledge of soil biodiversity—Report 2020.
Stock di carbonio organico, in un secolo, perse 135 Gigatonnellate
In base ai differenti tempi di decomposizione, la sostanza organica è abitualmente suddivisa in una frazione attiva, con tempi di turn-over variabili da mesi a pochi anni, e una frazione passiva, che ha invece tempi lunghi di degradazione che arrivano a migliaia di anni. La sostanza organica contiene il 55-60% del carbonio organico, parametro che viene abitualmente monitorato nella valutazione della qualità del suolo anche ai fini dell’importanza di questo nella mitigazione dei cambiamenti climatici.
Recenti stime a livello globale (Lal, 2018) indicano che lo stock di carbonio organico nello spessore 0-30 cm dei suoli di tutto il mondo ammonta a 677 Gt e che, a causa del cambio d’uso dei suoli e del ricorso a pratiche poco sostenibili quali massicce concimazioni azotate e lavorazioni troppo profonde, soprattutto nell’ultimo secolo, sono andate perdute 135 Gt, gran parte delle quali in forma di gas a effetto serra. Eppure, un buon contenuto di carbonio organico (in particolare di quello umico) assicura una buona struttura del suolo ma anche la sua stabilità, con la conseguente riduzione di erosione, compattamento, crepacciamento e formazione di croste superficiali.
Per i suoli agrari, per garantire un’elevata efficienza rispetto al rifornimento di elementi nutritivi per le piante, il livello di carbonio organico dovrebbe essere almeno pari al 2% nei primi 20-30 cm di suolo, come era all’incirca intorno agli anni 50 del secolo passato. A oggi, purtroppo, in molti casi i suoli agrari stentano a superare lo 0,5%. Da qui, la necessità di reintrodurre sostanza organica stabile nel suolo.

La presenza di carbonio organico nel suolo nell’UE – 2015 (g/kg). FONTE: JRC, 2018.
La sfida globale per incrementare la sostanza organica
Il deterioramento o la perdita della capacità produttiva delle terre coltivate e dei pascoli, che sta avvenendo a un ritmo allarmante in tutto il mondo, rappresenta una sfida globale che coinvolge tutti i continenti attraverso l’insicurezza alimentare, la perdita di biodiversità e di servizi ecosistemici, i cambiamenti climatici e i rischi ambientali.
Quando il suolo si degrada, perde produttività e rilascia in atmosfera gas a effetto serra (soprattutto il biossido di carbonio, CO2). In questo modo, gli effetti del riscaldamento globale del pianeta vengono amplificati.
Come evidenziato dal rapporto IPCC 2021, sono necessarie politiche di contrasto nei confronti di processi che favoriscano il cambiamento climatico, e ciò implica il controllo dei fattori che innescano il degrado del suolo. Il manuale Recarbonizing Global Soils della FAO (2021) fornisce validi esempi basati su risultati sperimentali. Vengono presi in rassegna gli impatti delle principali pratiche di gestione del suolo in un’ampia gamma di ambienti, considerandone vantaggi e svantaggi: uso di cover crops, pacciamature con materiali organici, rotazioni, consociazioni, lavorazioni a basso impatto e non lavorazione, distribuzione di materia organica diversa (letame, digestato, compost, fanghi, biochar), inoculo di organismi, uso di ammendanti e fertilizzanti chimici e tecniche di controllo dell’erosione.
Risultati ancora scarsi
A livello generale, nonostante gli interventi fatti, i risultati sono scarsi. Anzi, a seconda delle condizioni generali (clima, tipo di suolo, tessitura, contenuto di carbonio organico iniziale, regime di umidità, interventi di drenaggio, pratiche di gestione), possono addirittura verificarsi perdite di sostanza organica. Risulta inoltre evidente come le diverse pratiche di conservazione e implementazione delle riserve di carbonio dei suoli debbano essere adattate alle situazioni pedoclimatiche e di uso del suolo (foreste, foreste tropicali, torbiere, mangrovie, praterie, suoli montani e con permafrost), nonché alle pratiche di gestione adottate nel tempo.
Sempre più osservazioni scientifiche dicono quindi che non è sufficiente introdurre materia organica nel suolo per accrescere il contenuto di sostanza organica. Anzi, in qualche caso, si può addirittura ottenere l’effetto contrario, soprattutto quando viene inserita della materia organica fresca, vale a dire ricca di sostanze facilmente degradabili. Il problema del reintegro di sostanza organica nel suolo è che, mentre la sostanza organica diminuiva, andava mutando anche la composizione microbica del suolo. Ciò significa che nei suoli scarsi di sostanza organica di oggi abbiamo all’incirca la stessa quantità di microrganismi di prima, ma la comunità è in parte cambiata rispetto a quando il suolo era più ricco di sostanza organica.
Per questo motivo, se vogliamo ri-aumentare il contenuto di sostanza organica del suolo, dobbiamo farlo con pratiche che prendano in considerazione le condizioni pedoclimatiche, ma anche il ripristino delle sistemazioni idrauliche (agrarie e forestali) e la comunità microbica del suolo, ancor più variabile delle condizioni pedologiche. A questo proposito, sarebbe utile distinguere il carbonio nelle diverse frazioni organiche che lo rendono diversamente degradabile nel tempo, a seconda che faccia parte della sostanza organica solubile in acqua (WEOC), di quella particolata (POC) o delle frazioni umiche.
I casi studio da tenere presenti
Nei suoli coltivati, il ricorso alle cover crops si dimostra utile nella protezione dei versanti dall’erosione e nell’incorporazione di carbonio organico e di azoto quando nel miscuglio siano presenti specie azotofissatrici. L’apporto di materia organica e essudati radicali dovuto alle cover crops si riflette in un incremento di struttura con tutti gli aspetti positivi legati al miglioramento della fertilità fisica dei suoli. Al fine di incrementare la sostanza organica del suolo è però necessario prestare attenzione alle condizioni di contorno. Infatti, i risultati migliori si hanno in clima caldo e asciutto su colture legnose, mentre i peggiori risultati si riscontrano in suoli arati di ambiente temperato e tropicale.
Fonti di carbonio organico da usare come ammendanti sono rappresentate dalle diverse tipologie di letame (bovino, equino, di pecora, di pollame) che, oltre a migliorare la fertilità fisica dei suoli, possono incrementare la sostanza organica nel suolo in certe condizioni pedoclimatiche.
Nel caso del digestato delle centrali di produzione di biogas, non esistono ancora dati sperimentali sufficienti a proposito della sua efficacia nell’incremento di sostanza organica in suoli dove sia stato applicato, mentre per quanto concerne l’utilizzo di compost è necessario valutare attentamente la dose da applicare, la tessitura del suolo e il suo iniziale contenuto di sostanza organica. In genere, si osservano effetti migliori con la distribuzione di compost in suoli a tessitura sabbiosa piuttosto che in quelli a tessitura fine.

influenza delle pratiche di lavorazione del terreno sulla riduzione del carbonio. FONTE: Joint Research Center – Commissione europea.
Utile investire in rotazioni e pratiche conservative
Esistono anche diverse conferme sugli effetti positivi di rotazioni e pratiche conservative, che devono essere sempre adeguate alle condizioni pedoclimatiche. Nel complesso, esiste una vasta bibliografia in merito alla ricerca relativa alla reintroduzione di sostanza organica nel suolo, alla luce della quale si evince che una approfondita conoscenza delle condizioni iniziali del suolo e delle condizioni ambientali al contorno sono fondamentali per individuare la soluzione ottimale atta a raggiungere un reale incremento di sostanza organica.
Gli autori
Dominique Serrani
Dottoranda in Pedologia. Studia gli effetti dello slash and burn sulla fertilità di suoli di sistema agroforestale in Mozambico. Titolare di assegno di ricerca sulla misura dell’erosione e sul monitoraggio della fertilità del suolo in ambienti collinari dell’Italia centrale.
Stefania Cocco
Professore associato di Pedologia, PhD in Geobotanica e Geomorfologia. Interessi di ricerca: genesi di suoli agrari, forestali, urbani e subacquei; suolo e cambio climatico; rizosfera; soluzioni ecologiche; mineralogia del suolo; erosione idrica; suoli di ambienti aridi; suoli alpini e artici; paleosuoli; Oxisols.
Lorenzo Camponi
Dottore Forestale, CONAF Marche, dottorando presso Scuola di Dottorato in Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Politecnica delle Marche.
Andrea Salvucci
Dottore Agronomo, CONAF Marche. Attualmente Assegnista di ricerca presso “Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo” (CNR)
di Napoli nell’ambito “caratterizzazione pedologica delle aziende vitivinicole coinvolte nel progetto Precivit.
Valeria Cardelli
PhD in pedologia. Collabora con università spagnole e americane per lo studio di suoli forestali e naturali, e sul reimpiego di materiali di scarto in agricoltura. Titolare di assegno di ricerca su riuso sostenibile di scarti di estrazione di idrocarburi.
Giuseppe Corti
docente all’università Politecnica delle Marche e presidente della Società Italiana di Pedologia.