All’ultimo minuto il Piano nazionale Next Generation EU elimina i fondi destinati a tutelare le foreste in chiave anti-dissesto. Critici gli ambientalisti: “Così è impossibile sostenere progetti di vasta portata”
di Matteo Cavallito
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Transizione verde sì, ma le foreste italiane non sono una priorità e quindi non meritano investimenti. Il paradosso è difficilmente comprensibile ma è quanto è accaduto durante l’approvazione da parte del governo del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Next Generation EU” (PNRR), il Recovery italiano da 222,9 miliardi, che – nelle dichiarazioni dei suoi estensori – dovrebbe rilanciare l’economia italiana aiutando il rafforzamento della green economy e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Eppure in quel testo, le risorse per il patrimonio forestale sono le grandi assenti. O meglio: sono scomparse improvvisamente. La decisione infatti è dell’ultimo minuto o quasi. Ma essa impatta sul 38% del territorio italiano (11,4 milioni di ettari). La cancellazione ha subito suscitato forti perplessità tra addetti ai lavori e organizzazioni ambientaliste che invano avevano auspicato una svolta strategica sul tema. Ma andiamo con ordine.
Foreste, grandi escluse
L’incidente si è materializzato nella notte tra il 12 e il 13 gennaio scorso quando il Consiglio dei Ministri ha dato l’ok al testo definitivo del PNRR. La bozza presentata qualche ora prima conteneva una proposta ad hoc per le foreste a cura del Ministero delle Politiche agricole. Il progetto, collocato al paragrafo 2.4 (“Tutela del territorio e della risorsa idrica”), prevedeva un intervento specifico noto come “Forestazione e tutela dei boschi” per il contrasto al dissesto idrogeologico con una dotazione da 1 miliardo per i prossimi sei anni.
Ebbene, nel documento finale – spiega ad esempio Legambiente (ma non solo…) – le risorse sono state azzerate per essere sostituite con un finanziamento equivalente all’interno del FEASR – il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale. Solo che i fondi del FEASR, nota l’organizzazione ambientalista, sono già stati prorogati nella loro dimensione attuale – quella definita per il periodo 2014-2020 – per i prossimi due anni. Gli eventuali capitali “riservati” al “progetto foreste”, in altre parole, sarebbero disponibili solo a partire dal 2023.
“Una visione vecchia e inadeguata”
Quella del governo “è una decisione che denota una visione vecchia e inadeguata del ruolo che devono svolgere le foreste e in contrasto con le esigenze attuali di un maggior contributo a mitigare gli effetti del cambiamento climatico” spiega a Re Soil Foundation Antonio Nicoletti, responsabile aree protette e biodiversità di Legambiente. E i problemi, aggiunge, sono almeno due. “In primo luogo è possibile fare ricorso al fondo FEASR solo per interventi delimitati nelle aree rurali”. Il che, spiega, “esclude la possibilità di utilizzare le aree urbane per definire strategie efficaci di riduzione dell’impatto climatico migliorando, in generale, la resilienza di queste ultime e la protezione delle aree rurali e non”. Il riferimento corre alla capacità degli alberi di contrastare il riscaldamento globale. Una proprietà che ispira le iniziative di impianto di nuovi esemplari. Ma non è tutto.
Il FEASR? Non è pensato per contrastare il dissesto
“Il FEASR – sottolinea ancora Nicoletti – può essere usato di volta in volta solo per piccoli interventi e non per finanziare progetti complessi e di vasta portata visto che il fondo è pensato per sostenere iniziative promosse dai singoli proprietari di lotti di terreno”. Si tratterebbe, insomma, di un ulteriore “forte disincentivo all’utilizzo efficace delle foreste per mitigare gli effetti negativi del clima”.
Il fatto, sottolineano da Legambiente, è che il principale obiettivo dei fondi FEASR resta la selvicoltura in generale e non la prevenzione del dissesto idrogeologico. Che pure può essere realizzata attraverso la gestione sostenibile delle foreste puntando su una caratteristica decisiva di queste ultime: la loro tendenza ad incrementare massicciamente la capacità di assorbimento dell’acqua da parte del suolo. Un aspetto decisivo per un Paese come l’Italia dove, secondo ISPRA, il rischio idrogeologico interessa il 91% dei comuni, con oltre 7 milioni di persone residenti in “territori vulnerabili”.
Sulle foreste manca una strategia comune
La tutela delle foreste ha una ricaduta decisiva sulla salute stessa del suolo. Nelle zone boschive resta elevata la capacità di sequestro del carbonio da parte del terreno. Così come ampia appare la biodiversità e la propensione del suolo stesso alla fornitura di importanti servizi ecosistemici. La protezione delle aree forestali, insomma, resta un obiettivo ad ampio raggio. Ma in Europa – dove pure rappresentano il 43% della superficie – le aree boschive sono tuttora fuori dai Trattati comunitari. Il che, in sintesi, significa niente politica ad hoc né fondi diretti per le strategie forestali. Una mancanza, osserva Nicoletti, che “costringe i governi a utilizzare ogni volta quote di fondi diversi rendendo più complicata la protezione di questa risorsa”.