Gloria Falsone (Università di Bologna): “Serve una visione olistica sul suolo e i suoi problemi. Le tecniche efficaci esistono, ma ogni area ha le proprie specificità. E l’agricoltura deve imparare a mantenere le funzioni dei terreni nel lungo periodo”
di Emanuele Isonio
La desertificazione è un fenomeno che coinvolge ogni anno sempre più aree del nostro Pianeta. Volendo rimanere solo al nostro Paese, i dati più recenti indicano come la metà del territorio nazionale sia vulnerabile a questo fenomeno e il 10% addirittura molto vulnerabile. Il problema quindi è reale e attuale. Abbiamo quindi chiesto a Gloria Falsone, docente di Pedologia del Dipartimento Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’università di Bologna di fare il punto sul problema e su cosa serve per uscirne.
Professoressa Falsone, il tema della desertificazione è un problema sottovalutato?
Il tema della desertificazione è ampio e complesso. Riguarda una superficie globale e italiana estremamente rilevante. Ora che il suolo è sotto i riflettori, tutti gli argomenti connessi stanno diventando di grande interesse. Le sfide future a livello ambientale non possono più esimersi dal considerare il suolo una risorsa, insieme ai suoi servizi ecosistemici. Per fortuna quindi la desertificazione sta finalmente iniziando ad avere quell’interesse che è ormai impellente.
Negli anni passati però il percorso è stato molto complesso. Penso alle prime conferenze di Nairobi fino alla fine degli Anni 90 con la convenzione ONU per la lotta alla desertificazione: i passaggi hanno avuto bisogno di parecchio tempo.

La preoccupazione degli italiani su rifiuti, emissioni inquinanti e siccità. FONTE: Ricerca IPSOS – dicembre 2019.
Che conseguenze ha l’aumento della desertificazione sulla nostra vita e perché è strettamente connesso con le sfide per ripristinare la salute del suolo?
Il problema della desertificazione è relativo agli ambienti aridi. In questi ambienti, riguarda tutti i processi di degrado di natura antropica o legati ai cambiamenti climatici. In Italia, le nostre regioni meridionali sono molto interessate alla desertificazione. Ma anche molte regioni del Centro-Nord hanno aree soggette a questo fenomeno: la Toscana, alcune aree della pianura emiliano-romagnola. I problemi innescati a causa della desertificazione compromettono la funzionalità del suolo. Penso alla salinizzazione dei suoli, alla perdita di sostanza organica. Stiamo intaccando la salute del suolo e della sua capacità di svolgere funzioni in un ecosistema vivente che sostiene piante, animali e umanità. Ma alla desertificazione sono connessi la contaminazione dei suoli e tutta una serie di problemi di tipo fisico come la compattazione e l’erosione.
Il risultato di tutto questo?
Il suolo soggetto a desertificazione perde la sua funzionalità. Quindi le rese agricole vengono fortemente ridotte. Ma non solo: tutti i servizi ecosistemici del suolo svaniscono. Il suolo perde la sua capacità di regolare le emissioni di gas serra, di regolare i cicli di nutrienti e dell’acqua, non supporta più la biodiversità, non regola più il sequestro di carbonio.

Dinamiche della produttività del terreno in Europa (1982‑2010). FONTE: JRC, 2012.
La Corte dei Conti dell’Unione europea in un suo report speciale già nel 2018 indicava espressamente l’esigenza di ripristinare la salute del suolo per contrastare la desertificazione. Quali sono però le tecniche migliori da mettere in campo?
Abbiamo a disposizione molte soluzioni tecnologiche. Ma dobbiamo chiarire una cosa: devono essere specifiche per il sito in cui vengono applicate. La lotta alla desertificazione si attua attraverso il corretto uso del suolo. Per questo è necessaria un’adeguata conoscenza della risorsa suolo in quell’area specifica in cui si osserva il processo di degrado. Abbiamo disponibili sia innovazioni scientifiche sia conoscenze più tradizionali.
Recentemente l’IPCC ha stilato un report in cui elenca tali tecniche: parla di diversificazione delle colture, di adozione di piante resistenti alla siccità, riduzione delle lavorazioni, tecniche di irrigazione migliorate come l’irrigazione a goccia, metodi per conservare l’umidità come aree di raccolta dell’acqua piovana, il mantenimento della copertura del suolo o tramite vegetazione o con la pacciamatura.
Anche la gestione non corretta dei pascoli porta a seri processi degradativi. Per questo c’è la necessità di rivegetare i pascoli. Per le aree soggette a salinità, si possono usare colture tolleranti al sale, l’utilizzo di compost per le aree saline.
Questo in ambito nazionale. A livello globale che cosa serve?
Se aumentiamo lo sguardo a tecniche valide in altre zone, penso alle tecniche di stabilizzazione delle dune di sabbia per ridurre le tempeste di sabbia e polvere o pratiche agroforestali in grado di ridurre da un lato l’erosione del suolo, dall’altro di aumentare il sequestro di carbonio. Ci sono poi interessanti programmi di rimboschimento volti a creare barriere frangivento. Sono muri o dighe verdi che possono aiutare a stabilizzare e ridurre le tempeste di sabbia ma anche prevenire l’erosione eolica. In più, fungono da serbatoio di carbonio.

La presenza di carbonio organico nel suolo nell’UE – 2015 (g/kg). FONTE: JRC, 2018.
A tal proposito, nella fascia subsahariana in Africa è partito il progetto della Grande Muraglia Verde, per sottrarre terreni all’avanzata del deserto. Può effettivamente essere una soluzione efficace?
Questa soluzione è stata adottata anche in altre zone. I risultati non sono ancora definitivi. Sicuramente apportano un beneficio per quanto riguarda il sequestro di carbonio. Bisognerà capire più sul lungo termine qual è la loro efficacia rispetto alla lotta alla desertificazione.
Durante il Simposio Globale sulla biodiversità organizzato dalla FAO ad aprile scorso, sono stati presentati dati molto preoccupanti sul livello di contaminazione dei terreni da prodotti chimici. L’80% dei terreni europei presenta residui di pesticidi. Nella strada contro la desertificazione e la salute del suolo è ormai tempo di abbandonare i pesticidi e l’eccesso di chimica in ambito agricolo in favore di approcci agricoli più sostenibili?
Sicuramente sì. Ormai l’agricoltura che si possa definire innovativa deve essere sostenibile a lungo termine. Devono essere mantenute tutte le funzionalità del suolo, con un cambio di visione: non possiamo più pensare al suolo come un semplice substrato per ottenere le rese agricole. Dobbiamo invece avere una visione olistica che guardi a tutti i servizi ecosistemici che il suolo può fornire. Un’eccesso di chimica va senza dubbio contro questa visione.
Un’ultima domanda. Da esperta del tema suolo, quali sono le azioni politiche consiglia per affrontare la desertificazione? E queste scelte possono essere efficaci se prese a livello nazionale oppure dobbiamo inevitabilmente ragionare a livello continentale e mondiale?
La lotta alla desertificazione, lo dicevo già prima, è complessa perché si sviluppano aspetti diversi in funzione delle zone in cui ci si trova. Non esiste la soluzione che va bene sempre e comunque. Dobbiamo conoscere l’ambiente, le risorse del suolo e attuare per ogni ambiente l’insieme di tecniche che possono meglio adattarsi al problema ambientale specifico che abbiamo davanti. È impensabile che un’unica nazione, da sola, possa muoversi da sola. Ci deve essere un passaggio quasi gerarchico: da una visione globale a una visione europea e poi nazionale. Ad ogni livello, ci sono competenze e specificità diverse. Se devo risolvere un problema specifico in Italia non posso prendere la stessa soluzione applicata in Spagna. Le azioni locali però necessitano di una visione globale del problema.

Cambiamento previsto per quanto concerne il rischio di desertificazione, in base agli scenari 2,4°C (a sinistra) e 4,3°C), nel periodo 2071‑2100 rispetto al 1981‑2010. FONTE: Fonte: Spinoni, J., Barbosa, P., Dosio, A., McCormick, N., Vogt, J., “Is Europe at risk of desertification due to climate change?”, Geophysical Research Abstracts Vol. 20, 2018, EGU2018‑9557, Assemblea generale dell’EGU 2018.