18 Novembre 2022

Il risultato di una ricerca internazionale: in dieci anni la moratoria sulla soia brasiliana proveniente dai terreni disboscati ha salvato appena 2.300 km2 di foresta. “La catena di fornitura non può sostituire le politiche degli Stati”, spiegano gli studiosi

di Matteo Cavallito

 

Gli impegni assunti dalle corporation per non acquistare soia prodotta nelle terre dell’Amazzonia brasiliana soggette a deforestazione hanno prodotto risultati trascurabili. Determinando un calo del disboscamento non superiore all’1,6% tra il 2006 e il 2015 e salvando un territorio di appena 2.300 chilometri quadrati. Poco più della metà, per fare un paragone, dell’estensione complessiva del Molise. Lo rivela uno studio condotto da quattro diverse università: Cambridge, Boston, Zurigo e New York.

L’indagine, pubblicata nelle scorse settimane sulla rivista Environmental Research Letters, è stata finanziata dalla US National Science Foundation, dal programma Land-Cover and Land-Use Change della NASA e dal National Institute of Food and Agriculture del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti.

Un’iniziativa inutile senza il sostegno politico

L’indagine ha preso così in esame gli effetti della moratoria volontaria firmata da alcune compagnie 16 anni fa. L’impegno a non acquistare soia di provenienza amazzonica, spiegano i ricercatori, ha avuto un effetto limitato poiché non ha interessato la maggior parte della produzione, che si colloca in realtà al di fuori del polmone verde nella regione del Cerrado, una terra ricca di biodiversità.

Gli studiosi, inoltre, sottolineano come i modesti risultati raggiunti evidenzino ancora una volta la scarsa utilità delle iniziative private che non si accompagnano a scelte decisive da parte dei Paesi e dei loro esecutivi.

“La governance della catena di fornitura non dovrebbe sostituire le politiche forestali, che sono fondamentali per consentire il monitoraggio e l’applicazione di una strategia di zero-deforestazione e hanno una maggiore capacità di includere colture, gestori del territorio e diverse regioni”, ha dichiarato Rachael Garrett, docente di Protezione ambientale e sviluppo presso il Conservation Research Institute dell’Università di Cambridge e co-autrice del rapporto.

Lo studio

Nel 2021, erano almeno 94 le aziende che avevano adottato impegni stringenti per eliminare ogni rischio di contributo alla deforestazione dalle loro catene di approvvigionamento. Secondo lo studio, tuttavia, molte di queste promesse non si sarebbero in realtà concretizzate. Le piccole e medie imprese del settore alimentare, inoltre, non avrebbero nemmeno assunto, in molti casi, alcun impegno formale.

“In Amazzonia, i firmatari della moratoria che controllavano il mercato hanno causato un calo del 57% della deforestazione diretta per la soia dal 2006 al 2015”, si legge nella ricerca. “Adottando un’iniziativa analoga nel Cerrado, la deforestazione causata dalla stessa coltura avrebbe potuto essere ridotta del 46%“.

L’impegno siglato nel 2006, sottolinea inoltre lo studio, esclude da qualsiasi iniziativa di tutela il 50% delle foreste adatte alla coltivazione della pianta.

L’indagine brasiliana

I risultati dello studio si affiancano alle conclusione di un’altra ricerca realizzata dalla ONG brasiliana Instituto Centro de Vida, dal centro di indagine giornalistica Unearthed di Greenpeace e dal Bureau of Investigative Journalism. Il lavoro, diffuso nel febbraio di quest’anno, aveva evidenziato come lo sviluppo del settore della soia fosse stato responsabile dell’abbattimento di 1.180 chilometri quadrati di foresta.

La distruzione, spiegavano gli autori, aveva avuto luogo nello Stato del Mato Grosso dove, tra il 2009 e il 2019, le aziende della soia avevano aperto nuovi spazi per altre colture o per fornire terra da pascolo per l’allevamento. “La maggior parte di questa deforestazione era illegale”, si legge nello studio. Sotto accusa la moratoria stessa che, evidenziavano i ricercatori, vieta la vendita di soia coltivata su terreni disboscati dopo il 2008. Ma non prevede alcuna restrizione per altri prodotti come la carne di manzo e altre colture.

La soia si mangia quasi cinquemila km2 di foresta ogni anno

La domanda di soia, evidenzia lo studio più recente, è in crescita ovunque nel mondo. La maggior parte del prodotto “è consumato indirettamente dagli esseri umani ed è ampiamente utilizzata come mangime per polli, maiali, pesci e bovini allevati in fabbrica”. La soia, inoltre, “rappresenta circa il 27% della produzione globale di olio vegetale, e come fonte proteica completa costituisce spesso una parte fondamentale delle diete vegetariane e vegane”.

Tutto questo, ovviamente, non avviene senza conseguenze. Attualmente, rilevano infatti gli studiosi, “si stima che per coltivare la soia vengano cancellati ogni anno 4.800 km2 di foresta pluviale “.

Secondo le stime, “se le imprese del settore attuassero effettivamente i loro impegni globali per una produzione a deforestazione-zero”, sottolinea la Garrett, “gli attuali livelli di disboscamento in Brasile potrebbero essere ridotti di circa il 40%“.