L’ex presidente Bolsonaro lo aveva bloccato nel 2019. Il massimo tribunale del Paese ha stabilito che il veicolo finanziario dovrà tornare operativo entro 60 giorni. Dopo la rielezione di fine ottobre, Lula avrà così a disposizione un fondo con crediti per oltre 20 miliardi di dollari
di Matteo Cavallito
Il Brasile dovrà riattivare il fondo governativo destinato a finanziare la protezione dell’Amazzonia. Lo ha deciso la Corte Suprema imponendo un tempo limite di 60 giorni trascorso il quale il veicolo finanziario dovrà tornare a essere operativo. L’iniziativa assume un evidente significato politico chiudendo idealmente un triennio di inazione avviato con il discusso provvedimento promosso dall’allora presidente Jair Bolsonaro che nel 2019 aveva bloccato il fondo stesso contestandone il presunto uso improprio.
In risposta alla decisione del governo, Germania e Norvegia, i principali contribuenti, avevano a loro volta sospeso i finanziamenti al Brasile. La riattivazione del fondo dovrebbe aprire la strada alla ripresa delle operazioni di ripristino e di conservazione dei territori a rischio in linea con le promesse fatte dal neo presidente Luiz Inácio Lula da Silva, uscito vincitore dal ballottaggio che ha deciso le elezioni presidenziali dello scorso 30 ottobre.
Un’iniziativa pionieristica
Il Fondo per l’Amazzonia è considerato un’iniziativa pionieristica, ha scritto O Globo, capace di finanziare più di 100 progetti a cura di enti pubblici e organizzazioni non governative per un controvalore di oltre 1 miliardo di reais (quasi 200 milioni di dollari).
“Oltre a sostenere le comunità originarie e le ONG che operano nella regione”, sottolinea il quotidiano, “il Fondo per l’Amazzonia fornisce anche risorse a Stati e Comuni per azioni di contrasto alla deforestazione e alle fiamme. Uno degli esempi è stato l’acquisto di un aereo da 12 milioni di reais utilizzato nello Stato di Rondônia per condurre gli operatori antincendio nei focolai e mappare l’estensione del fuoco”.
Secondo un rapporto di audit redatto dall’Ufficio del Controllore Generale dell’Unione (CGU), l’equivalente della nostra Corte dei Conti, a dicembre 2021 il Fondo disponeva di circa 3,2 miliardi di reais (640 milioni di dollari) di fondi inutilizzati che si aggiungono a un impressionante ammontare di crediti stimati in 20 miliardi di dollari.
Un atto d’accusa contro le politiche di Bolsonaro
Sempre nel rapporto, la CGU ha puntato l’indice contro la scelta compiuta in passato da Bolsonaro di eliminare i principali organi collegiali del fondo: il Comitato direttivo dei consigli federali (COFA), composto da rappresentanti del governo federale, dei governi statali e della società civile, e il loro Comitato tecnico (CTFA), che includeva esperti indipendenti. Secondo i revisori, scrive ancora O Globo, “la scelta del Ministero dell’Ambiente di estinguere i comitati è stata adottata senza una giustificazione tecnica o una pianificazione che prevedesse un’adeguata gestione dei rischi associati alla decisione”.
Questa scelta, si legge nel documento, “ha causato la sospensione dell’autorizzazione di nuovi progetti nell’ambito del Fondo e ha messo a rischio i risultati delle politiche pubbliche da esso sostenute”.
Il risultato, sostiene Angela Kuczach, direttore esecutivo della Rede Nacional Pró Unidades de Conservação, la Rete nazionale delle unità di conservazione, è stato lo smantellamento delle politiche ambientali in Amazzonia da parte del governo federale e l’avvio di un “piano concreto” per impedire ai progetti di avanzare. Il che ha provocato un sensibile aumento della deforestazione.

Durante la presidenza Bolsonaro la deforestazione dell’Amazzonia è aumentata a ritmi crescenti. Immagine: Carbon Brief Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International
Con Bolsonaro deforestazione da record
I numeri del resto sono ampiamente noti. Secondo un’indagine a cura della ONG brasiliana Instituto Centro de Vida, del centro di indagine giornalistica Unearthed di Greenpeace e del Bureau of Investigative Journalism, dopo aver sperimentato una diffusa deforestazione tra il 2000 e il 2004 che ha portato alla distruzione di quasi 28mila chilometri quadrati di territorio, l’Amazzonia ha conosciuto in seguito una vera e propria inversione di tendenza. Al punto che dal 2004 al 2012 l’abbattimento degli alberi è diminuito dell’84%.
La distruzione della foresta è tornata a crescere già nel corso della presidenza di Dilma Rousseff. Ma è con l’elezione di Bolsonaro alla fine del 2018 che il processo di sfruttamento indiscriminato dei territori ha conosciuto una forte accelerazione.
Negli ultimi quattro anni, scriveva il portale specializzato Carbon Brief a settembre, il presidente uscente “ha indebolito le tutele ambientali esistenti e legittimato le attività illegali”. In questo modo, nei soli primi tre anni della sua amministrazione, l’Amazzonia ha perso 34mila chilometri quadrati di territorio. Un’area, per fare un confronto, superiore all’estensione del Belgio.