12 Ottobre 2022

Diffusi nel suolo, batteri, funghi e archei costituiscono il 18% della biomassa del Pianeta. I loro servizi, spiega una ricerca, sono fondamentali per l’uomo e le piante. Ma alcuni fattori critici ne mettono a rischio la tenuta

di Matteo Cavallito

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Il microbioma del suolo è l’anello di congiunzione tra la salute del terreno, il benessere degli animali e quello dell’uomo. Ma alcuni fenomeni di grande portata, dall’impiego della chimica in agricoltura al cambiamento climatico, minacciano questo equilibrio. Imponendo nuove strategie di intervento. È il messaggio lanciato da una recente ricerca pubblicata sulla rivista Nature. Lo studio, a cura dei ricercatori Samiran Banerjee, della North Dakota State University di Fargo, negli stati Uniti, e Marcel van der Heijden, dell’Università di Zurigo, si concentra sulle funzioni svolte dai microorganismi del suolo, evidenziandone impatti diretti e indiretti.

“Abbiamo identificato i microrganismi che interagiscono sui diversi comparti della salute“, spiegano gli autori. “E abbiamo dimostrato che i microbiomi del suolo, delle piante e dell’uomo sono forse più interconnessi di quanto si pensasse in precedenza”.

Un’enorme biomassa invisibile

I microorganismi sono estremamente diffusi nel suolo al punto da rappresentare la seconda frazione di biomassa del Pianeta dopo le piante con una quota pari al 18% del totale (tra batteri, funghi e archei). Sono loro, spiegano gli autori, il filo conduttore di quel processo che collega il terreno con gli esseri viventi in un rapporto di scambio continuo.

“I microrganismi creano un collegamento tra il suolo, le piante, gli animali e la salute umana mentre le comunità microbiche connettono i diversi ecosistemi”, si legge nella ricerca.

E ancora: “Il terreno superficiale è probabilmente il maggior fornitore di microbiota endofitico delle piante, poiché contribuisce a oltre due terzi della diversità batterica e fungina. La dieta, inoltre, svolge un ruolo importante nel modellare la composizione del microbioma intestinale di uomini e animali”.

L’approccio “One health”

Il riconoscimento di questa interdipendenza è alla base di un approccio noto come One Health (visione olistica della salute) che, secondo la definizione della FAO, “mira a bilanciare e ottimizzare in modo sostenibile la salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi“. Questo paradigma, inoltre, “è essenziale per anticipare, prevenire, individuare e controllare le malattie che si diffondono tra gli animali e gli esseri umani, affrontare la resistenza antimicrobica, garantire la sicurezza alimentare, prevenire le minacce alla salute umana e animale legate all’ambiente e affrontare molte altre sfide”.

Non sorprende, in questo senso, che un’idea simile abbia fornito una certa ispirazione alla ricerca in risposta alla pandemia globale.  Di recente, ad esempio, uno studio anglo-cinese ha identificato una correlazione statistica tra la concentrazione di zinco, ferro, rame e selenio nel terreno e l’esito dei casi di Covid. Dove la presenza è più scarsa, hanno riferito gli studiosi, il tasso di mortalità è maggiore. L’indagine aveva quindi suggerito un legame tra i fenomeni pur ricordando la necessità di svolgere studi ulteriori.

La salute delle piante passa dal microbioma

Sono le piante i primi beneficiari dell’azione dei microrganismi del suolo. Le specie vegetali, infatti, traggono dal terreno ben 18 dei 29 elementi essenziali per la loro vita. Il microbioma della rizosfera – ovvero della porzione di terra che circonda le radici – rafforza inoltre il repertorio metabolico delle piante e facilita una serie di processi, tra cui la germinazione dei semi, l’insediamento delle piantine, la nutrizione, l’assorbimento dell’acqua, la crescita, la soppressione dei patogeni e la tolleranza allo stress.

Non meno rilevante è il contributo alla salute degli animali. Molti insetti, ad esempio, necessitano di microorganismi specifici per la loro crescita e sopravvivenza. Questi ultimi, spiegano i ricercatori, non vengono trasmessi solo dai genitori alla prole ma anche attraverso la nutrizione tramite il consumo di piante che sono esposte, a loro volta, al microbioma.

Il legame tra il suolo e il benessere umano

Infine, il nostro benessere. “Il suolo può influenzare la salute umana e la società in molti modi”, scrivono i ricercatori. “Alcuni esseri umani ingeriscono deliberatamente il suolo per integrare una dieta povera di nutrienti (un fenomeno osservato in alcune aree dell’Asia, dell’Africa sub-sahariana e dell’America Latina oltre che in alcune isole del Pacifico, ndr). I terreni sono anche utilizzati come agenti disintossicanti per rendere commestibili alcuni prodotti alimentari, oltre che per ragioni mediche”.

Inoltre, “le persone con una maggiore esposizione agli ambienti naturali hanno una minore probabilità di soffrire di reazioni allergiche che possono essere collegate al microbioma e all’inalazione di particelle di suolo”.

Ovviamente non tutti i microrganismi del suolo hanno un effetto benefico. “Più di 300 specie fungine sono note per causare malattie”, si legge ancora nella ricerca. Tuttavia, “sebbene vi siano segnalazioni di patologie causate da agenti del terreno, non è chiaro quale percentuale del microbioma umano sia direttamente o indirettamente legata al serbatoio microbico del suolo”. Il legame tra la salute del terreno e quella umana, in ogni caso, è un dato ampiamente riconosciuto.

Fattori critici e raccomandazioni

Il problema, notano però gli autori, è che diversi fattori di cambiamento globale minacciano direttamente i contributi dei microbi ai servizi ecosistemici e alla salute. Tra questi il cambiamento climatico che favorisce la siccità, la riduzione della materia organica nel suolo e il declino della popolazione microbica. La lista delle minacce comprende anche l’inquinamento (da microplastiche, antibiotici e pesticidi) e l’intensificazione dell’uso del suolo.

“Nel mondo la superficie totale coltivata è aumentata di oltre il 500% negli ultimi cinque decenni, con un incremento del 700% nell’uso di fertilizzanti e una forte crescita dell’applicazione di pesticidi”, afferma la ricerca. “Queste pratiche intensive possono ridurre la diversità e la complessità del microbioma e influenzare negativamente i microrganismi utili presenti nelle radici e nel suolo”.

In questo quadro gli autori suggeriscono quindi di sviluppare nuove frontiere della ricerca per rispondere a domande tuttora aperte. Tra i temi da affrontare, precisano, la propensione del terreno a fungere da serbatoio di agenti patogeni, le pratiche di gestione pensate per contrastare il fenomeno e le interazioni dei microorganismi con altri soggetti tra cui virus, nematodi, lombrichi e artropodi del suolo.