Uno studio dell’Università dell’Idaho: antibiotici e calore impattano sui microbi accelerandone la respirazione e, con essa, le emissioni di CO2. Nel mirino l’uso del Monensin, un prodotto molto diffuso negli allevamenti
di Matteo Cavallito
L’uso degli antibiotici nel trattamento del bestiame, unito a particolari condizioni di calore, può avere un impatto molto pericoloso sui microbi del suolo. Lo sostiene uno studio diffuso in questi mesi sulle rivista Soil Biology and Biochemistry. L’impiego di questi farmaci, spiegano infatti gli autori, altera l’azione dei microorganismi del terreno. E, con essa, l’insieme delle funzioni ecosistemiche responsabili dell’equilibrio di quest’ultimo.
Ma c’è di più: la combinazione dei fattori riduce anche la capacità del terreno di immagazzinare il carbonio. Favorendo, per contro, le emissioni dell’elemento che, nell’aria, si combina con l’ossigeno generando anidride carbonica. Il conseguente incremento della CO2 in atmosfera accelera così il cambiamento climatico esacerbando quelle condizioni stesse di temperatura che sono alla base del fenomeno. Un classico circolo vizioso.
A new study by Cary’s @Jane_M_Lucas explored concurrent effects of heat and a common livestock antibiotic on #soil microbes. Findings show that heat + antibiotics impair microbe functioning, which could reduce soils’ long-term carbon storage capacity.https://t.co/2Sx5CBtLKE pic.twitter.com/NW9hZvFct6
— Cary Institute (@caryinstitute) November 8, 2021
L’esperimento
Nel corso dell’indagine, un gruppo di scienziati guidati da Jane Lucas, ricercatrice del Department of Soil and Water Systems dell’Università dell’Idaho, ha raccolto alcuni campioni di terreno dalle praterie settentrionali dello Stato non soggette al pascolo. Trattandoli successivamente in laboratorio con dosi variabili di antibiotico (alta, media, bassa) per tre settimane. Gli autori hanno anche riscaldato i campioni stessi a differenti temperature (15, 20 e 30 gradi centigradi). Monitorando la respirazione del suolo, l’acidità, la composizione della comunità microbica e le interazioni all’interno di essa e, ovviamente, il ciclo del carbonio e dell’azoto.
In sintesi: l’aumento del calore e delle dosi di antibiotico produceva un collasso della popolazione batterica aprendo la strada al predominio dei funghi. La respirazione del terreno aumentava dissolvendo il carbonio organico e favorendo un aumento delle emissioni, ovvero una diminuzione della capacità di conservazione dell’elemento.
“Quando si trovano in un ambiente caldo e carico di antibiotici, i microbi devono lavorare di più per sopravvivere”, spiega Jane Lucas. ” È lo stesso principio per il quale è più facile camminare per un miglio quando ci sono 21°C che correre lungo la stessa distanza quando ce ne sono 35. La diminuzione dell’efficienza microbica può far sì che i suoli immagazzinino meno carbonio a lungo termine”.
Lo stress dei microbi favorisce il cambiamento climatico
Il nesso tra la respirazione microbica e il riscaldamento globale preoccupa sempre di più gli scienziati. Nell’estate del 2020 uno studio pubblicato sulla rivista Nature ha analizzato gli effetti del calore su una porzione di suolo tropicale dell’isola di Barro Colorado, a Panama, simulando le temperature previste nei prossimi decenni. Il rilascio di CO2 misurato nell’occasione, spiegava il team di ricerca guidato dal docente dell’Università di Edimburgo, Andrew T. Nottingham, aveva superato del 55% quello rilevato nei terreni che non erano stati sottoposti alle fonti di calore.
L’indagine aveva quindi alzato le stime sulla propensione al rilascio di carbonio da parte del terreno delineando uno scenario ancora più preoccupante di quello dipinto dagli studi precedenti.
Se le stime dell’esperimento più recente fossero confermate per l’intero territorio tropicale, spiegavano Nottingham e i suoi colleghi, entro il 2100 l’atmosfera assorbirebbe una quantità aggiuntiva di carbonio pari a 65 miliardi di tonnellate. Oltre sei volte le emissioni annuali prodotte dalle attività umane.
L’antibiotico per il bestiame nel mirino
Ad accelerare la respirazione dei microbi, come si diceva, è anche la presenza di un particolare antibiotico. Nel mirino degli scienziati, in questo caso, c’è il Monensin un prodotto per il bestiame molto diffuso che viene rilasciato in grandi quantità sul suolo dalle deiezioni animali. “L’OMS ha valutato il Monensin come ‘non importante dal punto di vista medico’ e quindi non pericoloso per la salute umana”, spiegano i ricercatori, “ma queste evidenze non considerano gli effetti sugli ecosistemi“. Nello studio statunitense si dimostra che la sostanza “altera le funzioni dell’ecosistema del suolo, e l’ampiezza di questi effetti è maggiore di quella riportata per altri composti antibiotici”.
In particolare, concludono gli autori, “L’impatto sulla composizione batterica e sul rapporto carbonio/azoto microbico (un indicatore delle dinamiche che caratterizzano il ciclo dei due elementi nel terreno, ndr) non dipende dal dosaggio, suggerendo che anche piccole quantità di questi composti possano sconvolgere gli ecosistemi del suolo”.