17 Marzo 2022

Una ricerca sino-britannica identifica una correlazione statistica tra la concentrazione di zinco, ferro, rame e selenio nel terreno e l’esito dei casi di Covid: dove la presenza è più scarsa il tasso di mortalità è maggiore. L’indagine suggerisce un legame tra i fenomeni. Ma serviranno studi ulteriori

di Matteo Cavallito

 

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La scarsa presenza di zinco e di altri elementi nel suolo e, di riflesso, nell’organismo umano sembrerebbe essere correlata a un più alto tasso di mortalità da Covid. Lo suggerisce, con tutte le cautele del caso, uno studio della Xi’an Jiaotong-Liverpool University, una joint-venture accademica sino-britannica. I ricercatori hanno studiato il legame tra le concentrazioni di alcuni elementi chiave – inclusi ferro, rame e selenio – negli Stati Uniti. L’indagine ha coinvolto 3,057 contee USA (il 98% del totale) mettendo a confronto i dati rilevati nel terreno con la percentuale degli esiti fatali della malattia nel periodo compreso tra l’8 ottobre 2020 e il 25 marzo 2021.

“Dove la concentrazione di zinco è più elevata nei suoli di superfice maggiore è il tasso di mortalità dei casi di Covid”, ha dichiarato Ying Chen, ricercatore della Wisdom Lake Academy of Pharmacy e co-autore dello studio insieme ai colleghi Zheng Feei Ma e Linxi Yuan del Department of Health and Environmental Sciences dell’ateneo con sede a Suzhou. “I nostri risultati – ha aggiunto – indicano che lo zinco, tra i quattro oligoelementi testati, ha la più alta probabilità di influenzare la percentuale di decessi”.

Dove la concentrazione è minore la mortalità da Covid aumenta

Nelle contee osservate si sono registrati 19,3 milioni di casi in 24 settimane per un totale di 338 mila decessi. Il tasso di mortalità, in altre parole, ammonta all’1,75%. “Nelle aree sud-orientali dove le concentrazioni di selenio, zinco ferro e rame sono relativamente basse”, si legge nello studio, “il tasso di mortalità è relativamente alto (ovvero dall’1,74 a 3,84%, secondo quanto riportato nell’infografica dell’indagine, ndr), mentre nelle zone della costa occidentale, dove la presenza degli elementi è alta, la percentuale di decessi è bassa  (da 0 a 1,27%, ndr), il che suggerisce l’esistenza di uno schema generale di relazione inversa, soprattutto per zinco, ferro e rame”.

La correlazione statistica chiamerebbe in causa il ruolo di alcuni elementi per la salute umana. Lo zinco, in particolare, “come componente di vari enzimi metallici e attivatore di altri, può migliorare l’immunità fisica”, spiega Linxi Yuan. Mentre “una carenza nella assunzione di ferro e rame può far aumentare il rischio di alcune infezioni virali”.

Ma l’ipotesi deve essere ancora verificata

Gli autori dello studio, in ogni caso, esprimono una certa cautela. Per essere verificata, infatti, l’ipotesi che la carenza di zinco faccia aumentare il rischio di morte nei pazienti Covid necessita di ulteriori indagini. Lo stesso discorso vale per i meccanismi di trasmissione di alcuni elementi dal suolo all’organismo umano. Queste dinamiche si manifestano prevalentemente attraverso la nutrizione ma la loro portata effettiva non sarebbe ancora del tutto chiara.

L’analisi contribuisce per ora a evidenziare ancora una volta la centralità delle interazioni ecosistemiche. “Gli oligoelementi provengono dall’ambiente in cui viviamo, compresi il suolo, l’acqua e l’atmosfera”, ha spiegato il coautore Zheng Feei Ma. “Influenzano la salute umana attraverso le catene alimentari e il flusso ambientale, e la loro importanza risiede nel mantenimento non solo del nostro equilibrio ma anche di quello di altri organismi”.

Il ruolo dei micronutrienti

Al  cuore del nesso tra equilibrio del suolo e salute umana, per altro, ci sono da sempre i micronutrienti come ferro, zinco, folati, vitamine e altro ancora. Ad oggi, dicono le stime, il 30% della popolazione mondiale, oltre 2 miliardi di individui, non ne assume a sufficienza. Una conseguenza tanto delle diete non variegate quanto del degrado del suolo.

Quando la salute del suolo viene meno, insomma, i frutti della terra sperimentano di conseguenza una perdita delle sostanze nutritive. Per fronteggiare questo problema il mondo sperimenta da tempo le cosiddette strategie di biofortificazione delle coltivazioni. Che, in sintesi, consistono alternativamente nella selezione delle colture più ricche, nell’impiego di fertilizzanti ad hoc o nel ricorso all’ingegneria genetica. Anche se la soluzione definitiva al problema, forse, potrebbe essere costituita proprio dalla tutela del suolo.