17 Gennaio 2022

L’adozione di buone pratiche agricole nelle piantagioni di tè risulta determinante nella conservazione della varietà delle specie. Dai ricercatori indiani un monito a un settore che coinvolge 25 Paesi nel mondo

di Matteo Cavallito

 

La gestione agroecologica delle coltivazioni di può favorire la conservazione della biodiversità contrastando gli effetti negativi delle monocolture. Lo sostengono gli scienziati della Ashoka Trust for Research in Ecology and the Environment (ATREE), un centro di ricerca di base a a Bangalore, in India,

“La coltura di questa pianta, di per sé, non favorirebbe la crescita della biodiversità; tuttavia, testimonianze da tutto il mondo dimostrano che una gestione agricola capace di tenere conto della varietà delle specie, permette di creare uno spazio complementare per la conservazione dell’ecosistema”, ha dichiarato Annesha Chowdhury, ricercatrice di ATREE e co-autrice dell’indagine al portale della Ong ambientalista USA Mongabay.

L’agroecologia rende sostenibile la coltura del tè

La produzione di beni alimentari ha notoriamente un ruolo primario nella perdita di biodiversità. E le piantagioni, di norma, non fanno eccezione. “Il tè è coltivato in 26 modi diversi – dalla raccolta nelle foreste naturali alle monoculture – nelle piantagioni di 25 diverse nazioni”, si legge nella ricerca. Mettendo a confronto i diversi modelli di gestione di questa coltura e il loro impatto sull’ecosistema, prosegue l’indagine, emergono risultati piuttosto chiari.

L’espansione delle coltivazioni e la loro gestione convenzionale sono le principali minacce alla biodiversità”, riferiscono gli scienziati. “Tuttavia gli agroecosistemi del tè possono favorire la conservazione ambientale attraverso l’adozione di pratiche tradizionali o l’incorporazione dell’agricoltura biologica con gli alberi nativi mantenendo la diversità degli habitat all’interno delle monocolture”.

Tra sapere tradizionale e scienza moderna

Le strategie individuate sono esempi pratici di agroecologia, la disciplina che studia l’applicazione dei principi ecologici all’agricoltura. L’obiettivo dei suoi promotori, quindi, è quello di creare un sistema resiliente capace di conciliare le esigenze di produzione con quelle di conservazione dell’ecosistema.

Secondo il docente dell’università di Berkeley Miguel Altieri, agronomo ed entomologo cileno, considerato uno dei massimi esponenti della dottrina, l’agroecologia è un punto di incontro tra sapere tradizionale e scienza moderna. Nonché una “disciplina olistica”, basata sulla correlazione tra la salute del suolo, dell’agricoltura e degli esseri umani.

Le coltivazioni non interferiscono con l’ambiente

Ma cosa significa, concretamente, progettare un’agricoltura amica dell’ecosistema? Gestire gli spazi destinati alle colture in modo da non interferire con le rotte migratorie degli elefanti, rispondono i ricercatori citando il caso di due aziende agricole del distretto indiano del Darjeeling. Ma non è tutto, ovviamente. In Thailandia, ad esempio, “le foreste di tè selvatico supportano specie endemiche di vecchia crescita ricreando le condizioni del loro ambiente originario”, spiega ancora Annesha Chowdhury.

Le pratiche più varie, sottolineano ancora gli scienziati, trovano spazio in molti contesti diversi. In Giappone, in particolare, le coltivazioni di tè interessano ambienti caratterizzati da 300 diverse varietà di prati. Nelle foreste dello Sri Lanka, inoltre, le colture sono studiate per non ostacolare la sopravvivenza delle diverse specie di mammiferi del luogo.

Puntare sulle certificazioni

Secondo gli autori quella delle certificazioni rappresenta una strategia utile per incentivare l’impiego delle buone pratiche. Ad essere determinante, infatti, è anche la crescente domanda di prodotti sostenibili da parte dei consumatori, uno stimolo implicito per l’avvio di sistemi di protezione della biodiversità.

“Grazie alla certificazione di buona parte delle coltivazioni di tè e concentrando l’attenzione non solo sul prodotto ma anche sull’ambiente”, sottolinea la ricerca, “è possibile convertire le monocolture in un mosaico di paesaggi che sostengano la biodiversità e la sussistenza delle persone che da essi dipendono”.