10 Febbraio 2021

La proposta di Giuseppe Corti (presidente Società Italiana di Pedologia) intervistato da Re Soil Foundation: il degrado del suolo è un problema planetario. Per contrastarlo dobbiamo investire in filiere che ne aiutino la salubrità e al tempo stesso producano reddito. Il Recovery Fund? Una opportunità irripetibile

di Emanuele Isonio

 

Ascolta “Contro il suolo degradato, creiamo filiere produttive disinquinanti” su Spreaker.

“Dobbiamo creare delle filiere di disinquinamento che siano però già in grado di darci prodotti non da destinare all’alimentazione umana ma per altri usi. Penso alla produzione di legno o piante per farne biomasse o olio per combustione o autotrazione. Queste potrebbero essere filiere che aiutano a disinquinare i suoli, ma al tempo stesso potrebbero aiutare a sostenere le enormi spese cui andremo in conto se vorremo davvero migliorare i suoli italiani”. La proposta è di Giuseppe Corti, uno dei massimi esperti di suolo in Italia. Docente all’università Politecnica delle Marche e presidente della Società Italiana di Pedologia (la disciplina, cruciale, che studia la genesi, la storia e le condizioni del suolo).

 

Professore, partiamo dal principio: in che condizioni sono i suoli a livello globale?

Certamente non sono entusiasmanti. L’uso è stato utilizzato spesso in modo scorretto, sia per quanto riguarda le lavorazioni del suolo spesso eccessive sia per l’uso massicco di fertilizzanti chimici. Ecco perché abbiamo un diffuso problema di riduzione del contenuto di sostanza organica nel suolo, che porta con sé l’accentuata erosione. Abbiamo poi il problema del consumo di suolo e di inquinamento dei terreni. C’è poi il fenomeno sempre più diffuso della salinizzazione dei suoli, dovuta all’uso distorto fatto del suolo e delle acque di irrigazione.

Concentriamoci sul nostro Paese: l’Italia è messa mediamente meglio o peggio degli altri Stati Ue?

L’Italia, come del resto altri Stati europei, ha un problema di eccessivo consumo del suolo. Ciò è dovuto a una cementificazione selvaggia, che non trova alcuna motivazione razionale se non quella di rispondere ad appetiti speculativi, spesso con la complicità di amministrazioni locali e infiltrazioni malavitose. Siamo abituati a edificare sempre i suoli in pianura, vicini alle grandi vie di comunicazione. Questo fa sì che all’agricoltura rimangano sempre più suoli marginali. Abbiamo poi un problema di inquinamento dovuto ad alcune industrie e a discariche abusive, di nuovo legate a interessi criminali. A ciò si aggiunge, come in tutto il Sud Europa, il “male assoluto” che è la riduzione della quantità di sostanza organica, legato alle eccessive fertilizzazioni azotate nel comparto agricolo.

Il fenomeno del soil sealing è ampiamente diffuso. La situazione si sta aggravando nella maggior parte delle regioni del Pianeta. IMMAGINE FAO http://www.fao.org/3/a-i6470e.pdf

Il fenomeno del soil sealing è ampiamente diffuso. La situazione si sta aggravando nella maggior parte delle regioni del Pianeta. IMMAGINE FAO http://www.fao.org/3/a-i6470e.pdf

Ci spiega perché ognuno di noi deve preoccuparsi se il suolo è degradato?

Parto da un dato FAO: se facciamo 100 la quantità di calorie necessarie al sostentamento dell’umanità per un intero anno, meno dell’1% proviene da mari e oceani. Quindi, il 98,5% del sostentamento dell’umanità deriva dal suolo, soprattutto dalle attività agricole. Ecco perché ci dobbiamo preoccupare della qualità dei nostri suoli e di conservarlo in salute per le future generazioni.

In questo senso immagino che sia cruciale un aumento di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, a partire dai più giovani. Sbaglio?

È assolutamente giusto. Aumentare la sensibilizzazione a un uso corretto e armonico del suolo e farlo soprattutto fra i giovani è fondamentale. Purtroppo, c’è una cultura generalizzata che concepiva il suolo come una risorsa infinita. D’altro canto, a inizio Novecento gli abitanti sulla Terra erano un miliardo. Ora siamo 7,5 miliardi con previsione di arrivare a 10 miliardi entro metà secolo. C’era poi la visione della terra come di qualcosa che non potesse subire danni. In Toscana diciamo “la terra para anche le saette”. Purtroppo, soprattutto dopo il secondo dopoguerra abbiamo degradato i suoli. Ma non possiamo continuare così.

L’Unione europea, dedicando una mission ai suoli, sembra voler cambiare direzione…

Quella mission punta a riportare in salute entro il 2030 il 75% dei terreni per fare in modo che essi possano garantire cibo sano e servizi ecosistemici a tutti noi. E’ una sfida ambiziosa che dobbiamo sposare con convinzione.

Ma un suolo degradato si può davvero recuperare? Come e quanto tempo serve?

Partiamo da un esempio: la mancanza di sostanza organica nei suoli, che come detto è un problema diffuso e drammatico. Se abbiamo impiegato dai 50 ai 70 anni per portare un contenuto medio dei suoli agricoli italiani dal 3,5% a sotto l’1% come possiamo pensare di tornare a quei livelli in pochi anni? E’ chiaro che il processo è estremamente lungo e complicato. I microrganismi nel suolo rispondono infatti all’introduzione di sostanza organica in una maniera che non è sempre elastica.

Pensiamo poi all’inquinamento. Dobbiamo capire di che tipo di inquinamento parliamo: se ci concentriamo su quello dovuto a metalli pesanti, si può intervenire con soluzioni a basso costo, se il contenuto di inquinanti non supera di molto i limiti di legge. Ad esempio possiamo usare piante fitoestraenti che aiutano a soluzioni ottimale nell’arco di qualche decennio o di un secolo.

Un secolo nei casi meno gravi? Non oso immaginare quanto tempo serva per i casi più difficili…

I tempi sono questi. Dobbiamo imparare a rendercene conto. Se i livelli di inquinamento sono maggiori, servono parecchi secoli. Se vogliamo riportare la gran parte dei suoli inquinati a livelli accettabili, dobbiamo quindi partire immediatamente. Dobbiamo sviluppare progetti di ampissimo respiro che siamo mantenibili per tempi molto lunghi. Questo non può essere fatto senza pensare di poter produrre qualcosa in quei suoli particolarmente degradati. Ecco perché io propongo di immaginare e costruire delle filiere produttive di disinquinamento.

In Italia abbiamo anche eccellenze da valorizzare e diffondere?

I numerosi problemi non devono abbatterci. In Italia abbiamo anche situazioni straordinarie: produzioni di pregio che nessun altro Paese ha, un patrimonio forestale straordinario che è ancora sfruttato troppo poco. E potremmo farlo nel rispetto della natura e delle foreste. Poi abbiamo un paesaggio invidiato in tutto il mondo. Parlare di produzioni di qualità, di foreste e di paesaggio significa parlare di suolo, perché esso è alla base di tutto questo.

Non possiamo non parlare di Recovery Plan. Il Piano di rilancio e resilienza italiano potrà essere un’opportunità per introdurre soluzioni efficaci a favore del suolo?

Il Recovery Plan dovrebbe essere un’opportunità per tutto il settore agricolo e forestale italiano e questo dovrebbe passare da una valorizzazione e recupero dei suoli italiani. Noi abbiamo bisogno di portare lo studio del suolo a livelli incredibilmente più alti di quanto facciamo oggi, spesso per carenza di fondi. Abbiamo bisogno di consocerlo, di cartografarlo, di capire quali aree sono vocate a una produzione piuttosto che a un’altra, anche per ridurre le sostanze utilizzate. Se indoviniamo le condizioni pedoclimatiche ideali, avremo prodotti migliori e con un minore input di sostanze esterne.