Rispetto alle tecniche tradizionali di rilevazione, l’eDNA consente di fotografare la vita dell’ecosistema del terreno. Certificando la validità delle pratiche di ripristino e non solo
di Matteo Cavallito
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Monitorare la rinascita del suolo dopo una bonifica, studiare l’ecosistema del terreno, aprire nuove frontiere nella ricerca: sono queste, in sintesi, le opportunità offerte dell’eDNA o environmental DNA, il materiale genetico ambientale che da tempo attira crescente attenzione da parte degli scienziati. Il tema è emerso di recente in occasione del Global Symposium on Soil Biodiversity promosso dalla FAO. A differenza degli strumenti tradizionali, focalizzati sugli aspetti chimico-fisici, il DNA ambientale consente indagini più approfondite, ha spiegato nell’occasione Eva Bellemain, presidente e fondatrice di Argaly, una società francese specializzata nell’analisi genetica della biodiversità. Le ampie potenzialità, del resto, erano apparse evidenti fin dai primi studi.
Dalla microbiologia allo studio dell’ecosistema
L’eDNA, spiegavano già in passato Philip Francis Thomsen ed Eske Willerslev del Centre for GeoGenetics dell’Università di Copenhagen, consiste nel “materiale genetico ottenuto direttamente da campioni ambientali come suolo, sedimenti, acqua e altro ancora senza segni evidenti di materiale biologico di partenza”. Se affiancato da “una tecnologia di sequenziamento del DNA sensibile, efficiente in termini di costi e in continuo progresso, può essere un candidato appropriato per la sfida del monitoraggio della biodiversità“. Avviata originariamente in microbiologia, la ricerca sull’eDNA è stata successivamente applicata allo studio dei sedimenti, anche antichi, “rivelando il corredo genetico di animali e piante estinte ed esistenti”.
Un metodo più rapido ed efficace
I suoi vantaggi rispetto ai metodi tradizionali sono evidenti. L’analisi dell’eDNA, ha sottolineato in un altro intervento Luigimaria Borruso, ricercatore presso la Libera Università di Bolzano, è in grado di prendere in esame diverse specie di microorganismi, funziona anche in condizioni ambientali molto diverse tra loro e rappresenta un metodo poco invasivo che non produce turbative rilevanti sull’ecosistema. L’indagine, inoltre, risulta più rapida e consente di individuare anche le specie più rare. La raccolta dei campioni e la successiva estrazione del materiale genetico in laboratorio aprono la strada a valutazioni più approfondite. Al contrario, rileva ancora Bellemain, “risulterebbe difficile evidenziare tutte le potenzialità del suolo utilizzando i tradizionali indicatori fisico-chimici e biologici”.

L’applicazione dell’eDNA offre molti vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali. Immagine: dalla presentazione di Luigimaria Borruso, Free University of Bozen/Bolzano, FAO Global Symposium on Soil Biodiversity, aprile 2021
Il ripristino dei terreni? Lo certifica l’eDNA
Tra gli esempi più significativi di utilizzo c’è la valutazione del livello di ripristino del terreno. In Francia dove le operazioni di bonifica dei suoli degradati impegnerebbero quasi mezzo miliardo di euro all’anno, ricorda Bellemain, l’analisi genetica dei campioni di terra permette di valutare l’efficacia delle operazioni di recupero. Si tratta di uno strumento “standardizzato, poco costoso e applicabile in ogni condizione climatica”, spiega. Almeno un paio di studi condotti nel Paese avrebbero evidenziato la validità dello strumento. L’eDNA, in particolare, risolverebbe l’annoso problema della mancanza di protocolli condivisi per certificare la rinascita dell’ecosistema dei suoli recuperati in termini di funzioni vitali e di biodiversità. Ma la lista delle applicazioni non si esaurisce qui.
L’analisi della biodiversità è la nuova frontiera
La biodiversità, soprattutto a livello del microbioma, influisce notoriamente sulla produttività del terreno. “Ma la biodiversità dipende anche dalle differenti interazioni tra i microorganismi” spiega Borruso. E allora ecco che analizzando le tracce di eDNA è possibile individuare attori protagonisti come funghi, batteri e altro ancora. Morale: “Possiamo individuare una correlazione tra certe caratteristiche del suolo e la presenza di alcuni microorganismi” sintetizza ancora il ricercatore. A conti fatti, insomma, l’attività di analisi non si limiterebbe alla mappatura del suolo. Ma si estenderebbe ben al di là consentendo di indagare fattori ancora sconosciuti che possono influenzare in modo decisivo la sua produttività. Con evidenti ed enormi implicazioni.