27 Luglio 2023

Secondo uno studio anglo-argentino, la diffusione dell’agricoltura su vasta scala negli ultimi quattro decenni ha favorito il rialzo delle falde acquifere nelle pianure latinoamericane. Determinante la sostituzione della vegetazione nativa

di Matteo Cavallito

 

La forte espansione dell’agricoltura estensiva su larga scala sta rendendo le pianure sudamericane più vulnerabili alle inondazioni. Un effetto diretto della profonda trasformazione subita da questi territori nel corso degli ultimi decenni. Lo rivela un gruppo di ricercatori provenienti dall’Università di San Luis, in Argentina, e dalla Lancaster University, nel Regno Unito.

Utilizzando immagini satellitari e osservazioni sul campo negli ultimi quattro decenni, oltre a modelli statistici e simulazioni idrologiche, gli studiosi hanno identificato le tendenze descritte dalle dinamiche delle acque sotterranee e delle inondazioni. Rivelando come alcuni cambiamenti, apparentemente di lieve entità ma anche estremamente diffusi, imposti dall’uomo alla copertura vegetale, abbiano finito per modificare il ciclo dell’acqua in diverse regioni.

Un’espansione agricola senza precedenti

La forte impennata della domanda di materie prime a livello globale ha favorito la conversione di molte praterie e foreste in campi destinati alla coltivazione di soia e mais. Questa espansione agricola, sottolinea una nota dell’Università di Lancaster, ha avuto luogo all’impressionante ritmo di 2,1 milioni di ettari all’anno.

Questo fenomeno solleva da tempo molte preoccupazioni sulla tenuta della biodiversità e il degrado del suolo. Lo studio anglo-argentino, che ha riguardato le pianure centrali del Sudamerica al di sopra del 50° parallelo sud, si è concentrato invece sull’impatto idrologico.

“L’estensione e la velocità dell’espansione agricola nelle pianure sudamericane negli ultimi quattro decenni forniscono un esempio senza precedenti degli effetti dell’agricoltura pluviale sull’idrologia”, si legge nella ricerca pubblicata sulla rivista Science. Secondo Javier Houspanossian, ricercatore dell’Università di San Luis, “la sostituzione della vegetazione nativa e dei pascoli con coltivazioni irrigate dalla pioggia nella principale area di produzione cerealicola del Sudamerica ha portato a un aumento significativo del numero di inondazioni e dell’area da esse interessata”.

Lo studio

Valutando le immagini di telerilevamento, gli autori hanno osservato come le aree soggette a inondazioni si stiano espandendo a un ritmo di 700 chilometri quadrati all’anno nelle pianure centrali. Si tratta, evidenziano, di “un fenomeno mai visto in altre zone del continente”. L’analisi, in particolare, “mostra che man mano che le colture annuali sostituivano la vegetazione autoctona e i pascoli, le inondazioni raddoppiavano gradualmente la loro estensione, facendo aumentare la sensibilità del territorio alle precipitazioni”.

Nel dettaglio, prosegue la ricerca, “le acque sotterranee si sono spostate dai livelli profondi (da 12 a 6 metri) a quelli superiori (da 4 a 0 metri), riducendo i livelli di assorbimento”. In base alle ricerche disponibili condotte sul campo, è possibile affermare che la variazione della vegetazione – con relativo impatto sulla lunghezza media delle radici delle piante – e l’evapotraspirazione nei terreni coltivati sono le cause principali della trasformazione idrologica.

Pianure più vulnerabili

“La sostituzione su una scala così vasta di alberi, piante ed erbe caratterizzate da radici più profonde con colture annuali a bassa radicazione ha portato all’innalzamento della falda acquifera regionale”, ha dichiarato, ripreso dalla nota della Lancaster University, Esteban Jobbágy, ricercatore del Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas, un ente di ricerca del governo argentino.

“Man mano che il livello dell’acqua si avvicina alla superficie”, ha aggiunto, “c’è naturalmente una minore capacità del terreno di assorbire le forti precipitazioni, il che contribuisce a rendere più probabili le inondazioni”. La caratteristica essenziale delle pianure, infine, fa il resto. La piattezza del suolo, infatti, determina un deflusso molto lento dell’acqua favorendo le alluvioni in “alcuni dei terreni agricoli più fertili della Terra”.

I rischi non riguardano solo il Sudamerica

I risultati dello studio, insomma, “evidenziano l’aumento dei rischi di inondazione associati all’espansione dell’agricoltura pluviale a livello subcontinentale e su scala pluridecennale”. La diffusione delle inondazioni, ricordano ancora i ricercatori, danneggia tipicamente l’approvvigionamento alimentare favorendo i rialzi dei prezzi delle materie prime. Senza contare altri problemi, come l’erosione del suolo e la salinizzazione del terreno.

Il pericoloso nesso tra rapidi e vasti cambiamenti d’uso del suolo e mutamenti idrogeologici non interessa solo il continente sudamericano.

Il fenomeno, precisano ancora i ricercatori, rappresenta infatti un potenziale pericolo anche per altri territori soggetti all’espansione dell’agricoltura nelle pianure come il Canada centrale, l’Ungheria, il Kazakistan e alcune aree della Cina e dell’Ucraina. Da qui l’invito all’impiego di pratiche più sostenibili come la selezione di colture con radici capaci di penetrare maggiormente nel sottosuolo e l’impiego di rotazioni colturali più flessibili alla variazione della profondità delle falde acquifere.