Angelo Riccaboni (Fondazione PRIMA), in occasione della Giornata Onu per l’Alimentazione: “Sottovalutare il degrado del suolo impedisce di aggredire l’insicurezza alimentare”. Per l’inversione di rotta determinanti innovazione, ricerca e giusta redditività agli agricoltori
di Emanuele Isonio
“C’è una grande attenzione al tema della sicurezza del cibo. Ma senza affrontare il degrado dei suoli quella sicurezza è impossibile”. L’ennesimo appello di ragionare in modo olistico per risolvere problemi complessi arriva da Angelo Riccaboni. Economista, presidente del Santa Chiara Lab – Università di Siena, rappresentante nazionale della Mission Soil Health and Food e soprattutto presidente della Fondazione PRIMA, incaricata di attuare l’Iniziativa Euro-Mediterranea di innovazione e ricerca sui temi dei sistemi alimentari e delle risorse idriche. Non cade a caso il suo invito: arriva infatti alla vigilia della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2022. Dedicata quest’anno al tema dell’uguaglianza nell’accesso alle materie prime agroalimentari e a cibo di qualità. Un proposito che però la pandemia e la crisi economica successiva hanno reso ancora più difficile da raggiungere.
Professor Riccaboni, il mondo si preoccupa – giustamente – della sicurezza alimentare e dell’equo accesso alle risorse agricole, ma sottovaluta ancora il tema suolo. Partiamo da qui: si può affrontare la questione sicurezza alimentare senza aggredire la questione del degrado dei suoli?
Questo è un punto molto importante e la risposta non può che essere: no. Questo è palese: i suoli sono la base dei nostri sistemi alimentari e della produzione di cibo. Forniscono acqua pulita, biodiversità e contribuiscono alla resilienza climatica. Dobbiamo essere molto fieri in questo senso che la Ue con la sua Mission Soil si sia mostrata consapevole di questo legame. Perché prendersi cura del suolo significa prendersi cura della vita.
Perché secondo lei è ancora sottovalutato nell’agenda politica il tema suolo?
La domanda è calzante: il suolo non è in effetti percepito come una risorsa scarsa, preziosa, fondamentale per la nostra vita. Probabilmente è un argomento che dal punto di vista scientifico ha molte prospettive. Come al solito ci accorgiamo delle cose importanti solo quando ci vengono a mancare. Ciò che sta avvenendo nel Mediterraneo non è certo positivo. Erosione e desertificazione stanno avendo un impatto diretto nella produzione di beni primari e prodotti alimentari. Tutto ciò fortunatamente sta aumentando la centralità l’argomento.
Voglio essere ottimista: credo che lo sforzo della Commissione Ue a livello continentale tramite la sua Mission e lo sforzo a livello nazionale dei ministeri delle Politiche agricole e dell’Università e Ricerca in direzione di una valorizzazione dei suoli aiuteranno a rendere centrale questo argomento.
A proposito di food security, importante è il ruolo della ricerca e degli investimenti in innovazione. E per ovvi motivi, questi devono essere portati avanti soprattutto dai Paesi più ricchi per trasferire soluzioni e competenze poi a livello globale. In questo senso, che cosa sta facendo il sistema della ricerca italiana ed europea?
C’è un nuovo, forte interesse sui suoli dal punto di vista dei ricercatori e degli innovatori. Il punto delicato è fare in modo che il frutto degli studi e delle ricerche si trasformi in un vantaggio delle comunità e delle imprese. Per questo sono fondamentali tutte le attenzioni dirette alla valorizzazione dei cosiddetti living labs e delle lighthouses. In esse infatti si confrontano e uniscono gli sforzi dei ricercatori, delle istituzioni, dei finanziatori e delle aziende. Sono ambiti nei quali le idee della ricerca diventano comportamenti concreti da parte degli imprenditori.
Lei è presidente della Fondazione PRIMA: perché il questa iniziativa che coinvolge decine di Paesi del bacino mediterraneo è importante anche sul fronte della sicurezza alimentare?
La ragione più ovvia è che senza ricerca e innovazione non riusciamo ad affrontare le questioni legate alla sicurezza alimentare. Poi noi possiamo imparare molto dall’esperienza e dalle pratiche maturate nella costa Sud del Mediterraneo. PRIMA è un programma che vede uniti ricercatori della costa nord, sud ed est del Mediterraneo. Lavorare insieme non è solo una bella opportunità di diplomazia scientifica. È anche un modo per scambiarsi pratiche. È un approccio che permette a noi della parte settentrionale del Mare Nostrum, che affrontiamo da un periodo più breve i temi della insicurezza alimentare e del cambiamento climatico, di imparare da chi con quei problemi ha a che fare da molto più tempo.

Sintesi dei progetti di ricerca finanziati dal Programma PRIMA nel 2021. FONTE: Segretariato italiano PRIMA
In quattro anni, il programma PRIMA ha finanziato 170 progetti nell’area euromediterranea. Solo l’anno scorso ha finanziato con 62,5 milioni di euro 41 progetti che coinvolgeranno oltre 400 unità di ricerca. Ci può indicare concretamente 3-4 esempi di progetti particolarmente significativi sul fronte della food security?
Alcuni progetti puntano ad aumentare la resilienza delle colture. Penso al progetto Impresa che adotta tecniche di ingegneria citogenetica per aumentare l’adattamento del grano duro agli stress climatici aumentando così la produzione. Questo permette di avere nuovi genotipi che resistono a siccità, alte temperature e salinità del suolo. Altri progetti sono legati all’innovazione e ai supporti digitali per la sicurezza dei prodotti. Il progetto Sure Fish prevede ad esempio soluzioni per la tracciabilità del pescato del Mediterraneo, garantendo l’autenticità del prodotto. Per farlo ricorre a tecnologie quali l’identificazione a radiofrequenza, il blockchain, l’etichettatura intelligente. Questo è tra l’altro molto importante per contrastare le frodi e valorizzare il lavoro dei nostri pescatori.
Abbiamo innovazioni anche per produzioni e filiere più sostenibili come DainMesme che si occupa di economia circolare nel settore lattiero caseario usando il siero del latte che verrebbe altrimenti scartato e destinato alla mangimistica.
Sulla lotta agli sprechi alimentari, un progetto – denominato Stop Med Waste – si occupa di conservare gli alimenti deperibili, attraverso tecnologie innovative che permettono di estendere la vita di frutta fresca, verdure e piante aromatiche attraverso l’uso di sensori ICT collegati ad app e imballaggi intelligenti.

La mappa dell’insicurezza alimentare nel mondo. FAO, 2022.
Lei ritiene che la tutela del suolo e della food security possano prescindere alla sostenibilità – non solo ambientale ma anche economica – delle imprese agroalimentari?
Le imprese agroalimentari hanno un ruolo essenziale per garantire la sostenibilità ambientale ma anche sociale delle nostre comunità. Dobbiamo far di tutto affinché queste imprese, soprattutto quelle più impegnate su certi temi, possano godere di una sostenibilità economica. Cioè del giusto tasso di ritorno dei loro investimenti. Non possiamo considerarli solo custodi del territorio.
Chi lavora la terra deve avere il giusto livello di redditività.
Questo richiede l’innovazione: per conciliare le piccole dimensioni, i temi della sostenibilità e la giusta redditività bisogna fare in modo che i nostri agricoltori innovino. Garantire l’accesso al sistema dell’innovazione è una grande sfida. Il PNRR sta lavorando in questa direzione attraverso il Centro nazionale Agritech.
In questo senso, alla Farnesina è stato creato un Tavolo nazionale sui sistemi alimentari, che vede anche lei come uno dei protagonisti. Che obiettivi ha questo tavolo e che risultati sta producendo?
Il Tavolo ha permesso di ascoltare direttamente la voce dei portatori d’interesse del sistema agroalimentare italiano: agricoltori, innovatori, ricercatori, società civile. Ha portato le loro percezioni e opinioni nel dibattito internazionale. Dal G7 al G20 al Food System Summit tenuto a New York. Ma penso anche alle interlocuzioni con le istituzioni europee per la Strategia Farm to Fork e per la PAC. È un grande vantaggio per tutti avere questo momento di confronto. Io coordino il gruppo di lavoro delle imprese: queste ultime sono focalizzate su due temi. Come valutare la sostenibilità e come misurare al meglio l’impatto delle produzioni alimentari sull’ambiente superando i limiti del cosiddetto Eco-score (le etichette sull’impatto ambientale del cibo, ndr).
Il tema di quest’anno del World Food Day FAO è “Leave no one behind. Better production, better nutrition, a better environment, and a better life”. Ritiene che anche i consumatori finali abbiamo un ruolo nella sfida alla sicurezza alimentare per tutti? In che modo?
I consumatori hanno un ruolo fondamentale. Senza scelte responsabili, consapevoli, sostenibili è difficile indurre una filiera che si preoccupi di tali temi. L’educazione e la formazione dei consumatori, che deve partire fin dalle scuole, è essenziale. Solo in questo modo le scelte saranno quelle giuste. Chiaramente occorre fare in modo che i livelli di prezzo non siano più elevati per i prodotti ispirati ai temi della sostenibilità. Dobbiamo rendere accessibili quei prodotti. La scommessa non è semplice. Ma dobbiamo vedere il consumatore al centro del sistema agroalimentare. Solo in questo modo ci sarà una induzione dei giusti comportamenti da parte degli imprenditori, dei finanziatori, degli innovatori e delle istituzioni.