Nel 2021 la deforestazione nel bacino del Congo è aumentata del 4,9% colpendo oltre 630mila ettari di terreno. Un fenomeno particolarmente preoccupante, spiega la Ong olandese Climate Focus, considerando l’importanza dell’area in termini di mitigazione climatica e biodiversità
di Matteo Cavallito
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Nel corso del 2021, l’area del bacino del Congo ha registrato un aumento della deforestazione, cresciuta di quasi il 5% nello spazio di dodici mesi. Un dato preoccupante per le sue implicazioni in termini di perdita di biodiversità e di riduzione della capacità di mitigazione climatica. A rivelarlo è l’ultimo rapporto della Ong olandese Climate Focus.
“La regione ha sperimentato storicamente bassi tassi di deforestazione rispetto ad altre aree tropicali. L’anno scorso, tuttavia, il disboscamento è cresciuto rispetto al passato”, si legge nel rapporto. “Il degrado e la frammentazione del territorio comportano ulteriori rischi per il più grande paesaggio forestale intatto del mondo”.
Persi 636mila ettari in un anno
I numeri, del resto, parlano chiaro. “Nel periodo 2015-20 il disboscamento nell’area aveva subito un calo anche se il bacino del Congo aveva registrato comunque una perdita di 2,2 milioni di ettari di foreste oltre al degrado di 1,5 milioni di ettari territorio”, prosegue il rapporto. “Nel 2021 la deforestazione è cresciuta di 636 mila ettari, 30.000 in più – pari a un aumento del 4,9% – rispetto al periodo 2018-2020”.
Il fenomeno, ricorda Bloomberg, si è evidenziato in modo particolare in quattro nazioni: Guinea Equatoriale, Repubblica Democratica del Congo, Camerun e Repubblica Centrafricana.
Quest’ultima, in particolare, ha registrato un incremento della deforestazione pari al 71%, il peggior risultato tra i Paesi osservati. Fanno eccezione solo due dei sei Stati che compongono l’area sotto indagine: il Gabon – impegnato da anni in un programma di tutela forestale – e la Repubblica del Congo (Congo Brazzaville) che hanno sperimentato, per contro, una diminuzione della perdita di copertura arborea.
L’unicità del bacino del Congo
Quella osservata è un’area di eccezionale importanza. La regione, infatti, ospita alcune delle maggiori torbiere tropicali del Pianeta ed evidenzia un’enorme biodiversità accogliendo al suo interno un quinto delle specie animali e vegetali del mondo.
“Nel periodo compreso tra il 2001 e il 2019”, spiega il rapporto, “le foreste del bacino del Congo costituivano il più grande serbatoio di carbonio netto dei tropici con un saldo positivo pari a 610 milioni di tonnellate di CO2 annuali”.
In occasione della Cop26 di Glasgow del 2021, 140 Paesi inclusi i sei della regione, hanno firmato una dichiarazione impegnandosi ad arrestare la deforestazione globale fino a invertirne la tendenza all’aumento entro il 2030. “Per raggiungere questo obiettivo è necessaria una riduzione della perdita di copertura boschiva pari al 10% all’anno tra il 2020 e il 2030″, riferiscono gli autori. “Sulla base delle tendenze dell’ultimo anno, solo il Gabon e la Repubblica del Congo risultano attualmente allineati a questa traiettoria”.
Le attività estrattive restano una minaccia
A un anno di distanza dalla firma del documento il mondo ha perso 6,8 milioni di ettari di foreste determinando emissioni aggiuntive pari a quasi quattro miliardi di tonnellate di gas serra. In questo quadro, il bacino del Congo è da tempo un epicentro del problema. Dal 2000 al 2016, nota ancora la ricerca, “la quota di foreste intatte nella regione è calata dal 78 al 67% determinando il degrado territoriale di circa 23 milioni di ettari”.
Questo processo di deterioramento rappresenta spesso il preludio alla deforestazione, fenomeno favorito, peraltro, dall’aumento delle attività di estrazione e sfruttamento delle risorse come il taglio del legname, l’esplorazione mineraria e la produzione dell’olio di palma.
Nel luglio di quest’anno, la Repubblica Democratica del Congo ha lanciato una gara d’appalto per 30 permessi di estrazione di petrolio e gas. Molti di questi, ha scritto ancora Bloomberg, interessano le torbiere, ambienti caratterizzati da una spiccata propensione al sequestro di carbonio. Il presidente Felix Tshisekedi ha dichiarato nell’occasione che il Paese si impegnerà a ridurre al minimo l’impatto ambientale. Ribadendo, però, “che la nazione ha anche bisogno di sviluppare l’industria petrolifera per migliorare le condizioni di vita dei suoi cittadini, che sono tra i più poveri del mondo”.