24 Novembre 2022

Attraverso gli evaporatori a energia solare si può ridurre sensibilmente la presenza di metalli pesanti nel suolo. La soluzione, sviluppata dalla University of South Australia,  potrebbe trovare applicazione in altri contesti e per altre sostanze

di Matteo Cavallito

 

Una nuova tecnica basata sul filtraggio dell’acqua durante l’evaporazione consentirebbe di apportare un’efficace soluzione al problema della contaminazione del suolo. A sostenerlo è un gruppo di ricercatori della University of South Australia. “Le piante estraggono naturalmente i componenti minerali dal terreno quando spostano l’acqua dalle radici ai fusti, alle foglie e ai fiori, dove questi elementi vengono intrappolati”, ha spiegato Gary Owens, uno dei ricercatori coinvolti nello studio insieme ai colleghi dello stesso ateneo Pan Wu, Xuan Wu, Yida Wang e Haolan Xu.

Le piante, in altre parole, “possono essere utilizzate per estrarre le sostanze inquinanti, ma il meccanismo è molto lento e spesso richiede più stagioni, in particolare in situazioni di forte contaminazione quando le piante faticano a crescere e spesso muoiono”. Di fronte a questo ostacolo, gli autori hanno “creato un sistema – una sorta di pianta biomimetica – che imita questo processo ma a un ritmo molto più veloce e senza le tipiche controindicazioni legate alla tossicità”.

Imitare il comportamento delle piante

La tecnica prevede l’impiego di uno speciale evaporatore fototermico. Si tratta, semplificando, di uno strumento che sfrutta l’energia solare per produrre calore e accelerare l’evaporazione dell’acqua presente nel suolo. Quest’ultima passa attraverso un filtro che trattiene le sostanze pericolose in essa contenute, a partire dai metalli pesanti.

L’evaporatore è costruito per imitare il comportamento delle piante che, si legge nella ricerca, “hanno sviluppato processi naturali per raccogliere e sequestrare elementi essenziali e nutrienti dalla rizosfera per promuovere la loro crescita attraverso la traspirazione e per detossificare e scomporre i metalli pesanti”.

Lo strumento “simula prevalentemente l’assunzione di metalli da parte delle radici delle piante e la traspirazione delle foglie, catturando con una radice mimetica i contaminanti presenti nell’acqua e riducendone la concentrazione complessiva nel suolo”.

I risultati

Dotato di un sistema di iniezione continua dell’acqua, l’evaporatore ha consentito un’estrazione a lungo termine e la conseguente bonifica di un terreno contaminato. L’assorbimento è stato affidato a una particolare spugna di cellulosa a base di idrossiapatite. Gli autori hanno quindi misurato il contenuto di metalli pesanti nell’acqua del suolo prima e dopo la bonifica prelevando un campione di terra poi utilizzato per la coltivazione in vaso di una pianta di broccoli. I risultati sono stati molto soddisfacenti.

“I test di quattro settimane mostrano che le prestazioni di evaporazione sono generalmente stabili e la presenza di metalli come arsenico, cadmio, cromo, piombo e zinco si è ridotta in misura variabile”, afferma lo studio.

“Dopo la bonifica, nel confronto con un terreno di controllo non trattato, il contenuto delle sostanze nelle radici dei broccoli diminuisce rispettivamente del 37,2%(arsenico), 56,4% (cadmio), 25,9% (cromo), 46,3% (piombo) e 26,9% (zinco). Lo studio suggerisce una nuova direzione nella progettazione degli evaporatori solari finalizzata a ottenere un efficiente ripristino del suolo”.

Una soluzione per il suolo contaminato

I risultati potrebbero ispirare nuove applicazioni su larga scala. Lo strumento usato, sottolinea infatti Haolan Xu, uno dei ricercatori, è composto da materiali poco costosi e facilmente reperibili, è facile da installare e “a differenza di altre tecniche di pulizia non altera né distrugge la composizione del terreno”. Intervenendo sulle proprietà del materiale assorbente, inoltre, è possibile utilizzare questo macchinario per “rimuovere gli antibiotici e le sostanze a base di fluoro (PFASs) e ridurre il livello di salinità”. La speranza, insomma, è che il sistema possa rivelarsi utile nell’affrontare un problema particolarmente preoccupante e diffuso.

Lo scorso anno, il rapporto “Global Assessment of Soil Pollution” ha evidenziato come nel 2018 i terreni del Pianeta avessero assorbito 109 milioni di tonnellate di fertilizzanti azotati sintetici. Tra il 2000 e il 2017, inoltre, l’impiego dei pesticidi su scala globale è aumentato del 75%.

Direcente, Ravi Naidu, professore dell’Università di Newcastle, ha ricordato come nel mondo si utilizzino oggi 80mila sostanze chimiche diverse e solo lo 0,25% di esse sia stato adeguatamente testato per valutarne la sicurezza. I siti potenzialmente contaminati su scala globale, ha aggiunto, sono 10 milioni: un quarto del totale si trova in Europa, il 30% in Cina e in India. La bonifica di queste aree costituisce tuttora una delle principali sfide per il futuro.