23 Maggio 2022

Lo studio della NTU di Singapore: dodici piante sono risultate efficaci nel fitorisanamento dei suoli contaminati da cadmio, arsenico, piombo e cromo. La scoperta conferma il potenziale degli interventi di bonifica basati sui metodi naturali

di Matteo Cavallito

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Alcune piante tropicali potrebbero svolgere un ruolo decisivo nella bonifica dei terreni contaminati. Lo sostiene una équipe di ricercatori della Nanyang Technological University (NTU) di Singapore. Lo studio fornirebbe quindi nuove informazioni utili per gli esperti impegnati nelle operazioni di fitorisanamento, la pratica di decontaminazione del suolo che si basa, tra le altre cose, sulla capacità di assorbimento delle sostanze nocive da parte di alcune specie vegetali.

“Il fitorisanamento presenta anche vantaggi di economicità, semplicità di gestione, estetica, applicabilità e sostenibilità a lungo termine”, ricordano i ricercatori. “La strategia previene l’erosione e la dispersione dei metalli stabilizzando o accumulando i materiali pesanti e contribuendo così a ridurre il rischio di diffusione dei contaminanti”.

L’indagine a Singapore

Raccogliendo campioni di suolo e piante tra il marzo 2019 e il gennaio 2020, i ricercatori hanno studiato 46 diverse specie vegetali comuni. 12 di queste – tra cui la gramigna brasiliana, la pteride a foglie lunghe e la centella asiatica – si sono dimostrate efficaci nell’assorbimento di diversi tipi di metalli pesanti e metalloidi. Queste piante, in particolare, sarebbero in grado di estrarre dal suolo diversi elementi potenzialmente tossici per l’uomo e gli animali come cadmio, arsenico, piombo e cromo.

La presenza di questi ultimi, ricordano i ricercatori, è favorita da una serie di fenomeni legati all’azione umana.

La lista delle cause comprende l’inquinamento atmosferico, l’uso di prodotti sintetici come pesticidi, vernici, batterie, rifiuti industriali e l’applicazione al suolo di fanghi industriali o di origine domestica. In assenza di interventi di bonifica gli elementi nocivi presenti nei suoli contaminati possono essere assorbiti dalle colture contaminando a loro volta i prodotti della terra.

Un’alternativa più sostenibile per i suoli contaminati

Il fitorisanamento, come detto, si basa sulla capacità di alcune piante di estrarre le sostanze riducendone quindi la presenza nei terreni. I campi vengono così “ripuliti” e sono pronti a ospitare le coltivazioni che possono prosperare in un ambiente bonificato.

“I risultati estendono il potenziale dei metodi naturali“, rilevano i ricercatori. “Il fitorisanamento potrebbe essere un’alternativa più ecologica alle opzioni industriali esistenti per rimuovere i metalli pesanti dal suolo inquinato, che includono tecniche come il lavaggio del terreno e la rimozione con l’acido”.

I metodi industriali, infatti, “possono essere costosi e implicano l’utilizzo di prodotti chimici aggressivi per rimuovere gli inquinanti dal suolo”. Inoltre, “in questi processi sono solitamente necessari anche macchinari pesanti per lo scavo e il trasporto del terreno che hanno un impatto negativo sull’ambiente e compromettono la salute e la fertilità del suolo”. Queste pratiche, infine, “comportano anche un elevato rischio di esposizione delle persone o degli animali ai metalli pesanti”.

Accelerare il processo

Il punto debole delle pratiche naturali è costituito tipicamente dalla lentezza del processo. Le azioni di fitorisanamento, ricordano i ricercatori, richiedono infatti “un impegno lento e a lungo termine“. A questo si aggiunge una “gestione prudente nella rimozione e nello smaltimento delle piante contaminate”.

Gli scienziati stanno ora testando le specie vegetali su una serie di terreni inquinati a Singapore per determinarne l’efficacia in un ambiente urbano. Allo studio anche l’uso di altre particelle inorganiche che vengono incorporate nelle piante favorendone la crescita e migliorando l’estrazione delle sostanze. “In questo modo sarà possibile ridurre il tempo di assorbimento dei metalli pesanti accelerando i processi di bonifica”, concludono i ricercatori.