I boschi di castagni possono essere ottimi alleati per aumentare la capacità di sequestro di carbonio dei suoli. Eppure per troppo tempo sono stati spesso sfruttati male e in modo eccessivo. Alcuni progetti però mostrano come è possibile invertire la rotta
di Stefania Cocco, Valeria Cardelli, Dominique Serrani, Lorenzo Camponi, Andrea Salvucci, Giuseppe Corti *
Le priorità dello European Green Deal (EGD) restituiscono al suolo il suo ruolo importante per portare l’Europa ad essere il primo continente a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. A conferma della centralità e dell’importanza del suolo in tutti gli ecosistemi, siano essi naturali o antropizzati, esso è menzionato nella strategia Farm to Fork, nel piano Zero Pollution action plan ma, indirettamente, anche nel piano di conservazione e riqualificazione degli ecosistemi e della biodiversità.
Tra gli strumenti deputati alla riduzione della febbre planetaria, l’Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio (INFC) rappresenta una sorta di termometro verde in grado di misurare la consistenza e lo stato di vitalità delle foreste e dei loro suoli, un utile strumento di monitoraggio che produce conoscenza concreta sugli stock di carbonio del patrimonio forestale nazionale.
I castagni del Belpaese
Negli ultimi anni è stato particolarmente attenzionato il ruolo del bosco nell’incorporazione di carbonio nei suoli, cosa che rappresenta un obiettivo fondamentale della politica ambientale. Secondo il censimento, i boschi di castagno sono molto estesi in Campania, Calabria, Toscana, Lazio, Piemonte ed Emilia-Romagna, ma sono diffusi sull’Appennino, sulle Isole e sulle aree pedemontane delle Alpi e Prealpi, con una superficie di 788.408 ha (IFNC 2008). Oltre 2/3 dei boschi di castagno (605.868 ha) sono cedui o fustaie da legno e solo il 19% (147.568 ha) sono castagneti da frutto. La maggior parte di questi ultimi si trova in Campania, Toscana e Piemonte (61%) ma ce ne sono anche in Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Lazio e Calabria.

Le specie di boschi presenti in Italia. FONTE: terzo Inventario Forestale Nazionale, INFC 2015.
Castagneti, le importanti peculiarità da non sottovalutare
Dopo decenni di abbandono causati dallo spopolamento delle aree montane, dall’insorgenza di problemi fitosanitari, dal cambio delle abitudini alimentari e dalla competizione con altre colture, recentemente è stata (ri)scoperta la multifunzionalità del castagneto. Il recupero di questo tipo di bosco, che rappresenta anche una importante risorsa turistica, offre una valida strategia per lo sviluppo e la tutela di territori fragili e a rischio di marginalità, dal momento che integra le caratteristiche di un bosco di alto fusto con quelle di un frutteto. Il recupero inizia dalla verifica delle condizioni del suolo, che determinano la disponibilità di nutrienti, la stabilità dei versanti, la biodiversità e lo stock di carbonio organico.
A oggi, la gran parte dei suoli di castagneto è caratterizzata da orizzonti organici poco spessi a causa dello sfruttamento antropico. Questi boschi, per secoli, sono stati sottoposti non solo alla raccolta dei frutti ma anche a quella delle foglie (stramatura, per realizzare materassi e lettiere per il bestiame) e del legno caduto per scaldare e cucinare.
Ciò significa che, per molto tempo, gli unici input di sostanza organica al suolo sono stati le deiezioni degli animali al pascolo che ripulivano il sottobosco, con un evidente bilancio a favore degli asporti.
In certi casi, per favorire la raccolta, veniva praticato anche l’abbruciamento della lettiera, riducendo ulteriormente l’apporto di sostanza organica al suolo. In alcune zone, l’utilizzo di macchine per la raccolta del frutto ha inoltre compromesso l’equilibrio degli orizzonti organici, rimescolati e vagliati meccanicamente. Anche la proliferazione dei cinghiali con la loro azione di grufolamento ha compromesso il cotico erboso, in qualche caso innescando processi erosivi. Tutto questo ha prodotto una riduzione di umidità e di nutrienti nel suolo, una minor presenza di funghi (anche eduli) e una riduzione della mesofauna. Gli attuali suoli di castagneto sono quindi testimoni di una lunga storia di intensa utilizzazione del bosco, importante per il sostentamento delle popolazioni ma anche causa di un profondo degrado del suolo stesso.

Suolo sottostante un castagneto. FOTO: Stefania Cocco.
L’esperienza dell’Alta Valle del Reno
Attualmente la castanicoltura continua a rappresentare una importante risorsa potenziale dal punto di vista sia produttivo (legno, frutti, filiere alimentari) sia della protezione del suolo, in particolare per il sequestro del carbonio, nonché per la salvaguardia del paesaggio rurale e culturale. Sono in corso interessanti iniziative progettuali che interessano produttori e ricercatori interessati al recupero di questo bosco. La “Corona di Matilde – Alto Reno terra di Castagni” è il primo paesaggio rurale di interesse storico-culturale dell’Appennino bolognese tutelato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF). L’area, di 2.543 ettari coltivati a castagni al confine tra Emilia-Romagna e Toscana, è stata inserita nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici del MIPAAF ed è candidata a diventare il terzo sito italiano considerato Patrimonio Agricolo di rilevanza mondiale (FAO “Globally Important Agricultural Heritage Systems”).
L’Alta Valle del Reno, da sempre vocata alla castanicoltura, è caratterizzata da una notevole presenza di castagneti, e la tenuta e ripresa della castanicoltura avviene grazie ai consorzi e alle associazioni dei castanicoltori, che cercano di coordinarsi fra loro affiliando le diverse aziende sul territorio. La ripresa della castanicoltura e della produzione di castagne e marroni è legata anche al crescente interesse da parte dei consumatori sia alle filiere corte, che provengono da territori sani e sostenibili, sia alle coltivazioni biologiche. Oltre ai classici utilizzi del castagno si stanno sviluppando settori produttivi che necessitano di un’attenzione particolare per coniugare innovazione e tradizione: prodotti artigianali a base di farina di castagne, uso cosmetico e come integratori alimentari per il benessere animale.
Un “ECG” per gli alberi
All’origine dell’importante riconoscimento nazionale si iscrive l’opera di valorizzazione e di ricerca condotta dall’Accademia Nazionale di Agricoltura (ANA) presso il Parco Didattico Sperimentale del Castagno di Granaglione, inserito all’interno della “Corona di Matilde”, che sul finire degli anni ’90 realizzò una serie di iniziative con l’obiettivo di salvaguardare un patrimonio millenario e di contribuire allo sviluppo dei Comuni dell’Appennino bolognese.
Per il Castagneto di Granaglione, che oggi ospita l’innovativo progetto “TreeTalker”, grazie a sofisticati sensori installati su 48 piante allo scopo di rilevare lo stato di salute delle piante e le condizioni ambientali della zona, è atteso a breve il riconoscimento di Parco nazionale. La progettazione scientifica e sperimentale all’interno del castagneto è gestita da ANA in collaborazione con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari dell’Università di Bologna e sta diventando un faro per gli studi e le conoscenze sui diversi aspetti che riguardano la castanicoltura, con studi mirati alla salvaguardia del suolo e al monitoraggio dello stock di carbonio organico.
Il progetto “Best of the Apps-Fruit of the Apennines”
Nella regione Marche, grazie al progetto “Best of the Apps-Fruit of the Apennines” finanziato da Fondazione Merloni e Vodafone con la collaborazione scientifica dell’Università Politecnica delle Marche, è in corso a Pieve Bovigliana un progetto di recupero di un castagneto in parte produttivo e in parte abbandonato. Il progetto prevede procedure di miglioramento della gestione del bosco e innesti, necessari alla conversione del castagneto a marroneto. Gli interventi di spollonatura, potatura e di sistemazione del suolo sono stati condotti con lo scopo di incrementare la qualità e la quantità di frutti. Anche in questo caso, il rilievo pedologico condotto ha evidenziato problematiche importanti che minacciano lo stock di carbonio organico del suolo.
Lo studio dei profili di suolo infatti indica:
- una scarsa profondità di approfondimento delle radici (50-70 cm),
- orizzonti organici poco spessi (5-6 cm) e di scarso valore ecologico (scarsa presenza di mesofauna),
- orizzonti A raramente presenti
- frequenti sovrapposizioni dovute a movimenti di versante, anche se non di recente scorrimento.
La quasi assenza di orizzonti A, è stata attribuita all’intensa fase di sfruttamento da parte dell’uomo con la raccolta di tutti i prodotti del castagno, ma anche con la coltivazione delle zone più esterne del castagneto. Questi suoli, massicciamente sfruttati fino a circa 50 anni fa, presentano problematiche comuni ai suoli sotto castagno di tutto l’Appennino. Con il recupero produttivo di questi boschi e il ripristino di adeguate sistemazioni idraulico-agrarie in grado di ridurre l’erosione è possibile incrementare la capacità dei suoli di stoccare carbonio e ricostituire gli orizzonti organici, di forte valore ecologico per il bosco, contribuendo al recupero della biodiversità vegetale e animale e riducendo le emissioni gassose.

Scheletro abbondante presente sotto un castagno. FOTO: Stefania Cocco
* Gli autori
Stefania Cocco
Professore associato di Pedologia, PhD in Geobotanica e Geomorfologia. Interessi di ricerca: genesi di suoli agrari, forestali, urbani e subacquei; suolo e cambio climatico; rizosfera; soluzioni ecologiche; mineralogia del suolo; erosione idrica; suoli di ambienti aridi; suoli alpini e artici; paleosuoli; Oxisols.
Valeria Cardelli
PhD in pedologia. Collabora con università spagnole e americane per lo studio di suoli forestali e naturali, e sul reimpiego di materiali di scarto in agricoltura. Titolare di assegno di ricerca su riuso sostenibile di scarti di estrazione di idrocarburi.
Dominique Serrani
PhD in Pedologia. Studia gli effetti dello slash and burn sulla fertilità di suoli di sistema agroforestale in Mozambico. Titolare di assegno di ricerca sulla misura dell’erosione e sul monitoraggio della fertilità del suolo in ambienti collinari dell’Italia centrale.
Lorenzo Camponi
Dottore Forestale, CONAF Marche, attualmente dottorando in Pedologia. Si interessa di valutazione degli effetti dei cambi d’uso del suolo su differenti tipologie colturali in ambiente agro-forestale. In particolare: valutazione degli effetti sui parametri fisico-chimici della componente organica del suolo in foreste in conversione; valutazione degli effetti della gestione sulla rizosfera di nocciolo.
Andrea Salvucci
Dottore Agronomo, CONAF Marche. Attualmente dottorando in Pedologia. Si interessa di caratterizzazione pedologica e miglioramento di suoli salini.
Giuseppe Corti
Già presidente della Società Italiana di Pedologia, è attualmente direttore del Centro Agricoltura e Ambiente del CREA.