Dal 2005 al 2015, la superficie boschiva nazionale è aumentata di 587mila ettari. Ma quei dati non dicono tutto: il patrimonio forestale è in larga parte abbandonato e manca una pianificazione pubblica. E nel solo 2021, è andato in fiamme 1/4 delle nuove foreste
di Emanuele Isonio
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La marcia dei boschi italiani appare inarrestabile. Ma i numeri positivi rischiano di far passare in secondo piano il fatto che quel patrimonio è in condizioni preoccupanti. Sottovalutato, mal gestito e spesso lasciato a sé stesso, incapace quindi di ottimizzare i suoi vantaggi ecosistemici.
Partiamo comunque dai dati contenuti nell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi forestali di Carbonio. Una sorta di “termometro verde” in grado di misurare la consistenza e lo stato di vitalità delle foreste, aggiornato periodicamente dai Carabinieri forestali con il supporto scientifico del CREA: la superficie boschiva nazionale è aumentata in 10 anni di circa 587mila ettari per complessivi 11 milioni di ettari, pari al 36,7 % del territorio nazionale.
La consistenza dei boschi italiani, espressa come metri cubi di biomassa è aumentata del 18,4%, i valori ad ettaro sono passati da 144,9 a 165,4 metri cubi. Lo stock di carbonio è passato da 490 milioni di tonnellate rispetto alla rilevazione del 2005 a 569 milioni di tonnellate di carbonio organico, equivalente ad un valore della CO2 che passa da 1.798 milioni di tonnellate a 2.088 milioni di tonnellate, con un incremento di 290 milioni di tonnellate di CO2 stoccata e quindi sottratta all’atmosfera.
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I boschi, potenti serbatoi di carbonio
La sottrazione dall’atmosfera e l’immagazzinamento dei gas ad effetto serra, in particolare del diossido di carbonio, è una delle funzioni più importanti di recente riconosciute alle foreste che, così, contribuiscono a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e a regolare il clima. “Infatti – spiegano i Carabinieri forestali – le foreste, come tutto il regno vegetale, rappresentano un ponte insostituibile tra il mondo inorganico e quello degli esseri viventi e una formidabile macchina biologica che cattura carbonio dall’atmosfera, lo immagazzina nelle sue fibre e lo tiene bloccato per tempi anche molto lunghi: un metro cubo di legno secco contiene circa 260 kg di carbonio, pari a circa la metà del suo peso.
A livello regionale, i maggiori incrementi decennali nello stock di carbonio assicurato dai boschi sono di Valle d’Aosta, Molise e Puglia, con percentuali attorno al 30% (rispetto a una media italiana di poco più del 15%). Se consideriamo invece la superficie boscata, la crescita maggiore è avvenuta in Molise, Sicilia e Campania, con percentuali comprese tra +10 e +16%, a fronte di una media italiana del 6%. Le regioni che maggiormente contribuiscono al volume complessivo dei boschi italiani sono invece Toscana (10.4%), Piemonte (9.8%) e Lombardia (8.7%).
Coldiretti: caldo, siccità e abbandono favoriscono gli incendi
Quello che le cifre contenute nell’Inventario dei Carabinieri forestali non riescono a far trasparire sono le ombre che si celano dietro al nostro patrimonio boschivo, che è, ad esempio, costantemente vittima di incendi: sono quasi 159mila gli ettari di bosco andati a fuoco in Italia dall’inizio dell’anno per effetto dei cambiamenti climatici. Il caldo e la siccità hanno infatti favorito l’azione dei piromani bruciando oltre 1/4 delle nuove foreste. A rivelarlo è un’analisi di Coldiretti sulla base dei dati dell’European Forest Fire Information System (Effis) della Commissione europea.
“L’andamento anomalo di quest’anno conferma purtroppo i cambiamenti climatici in atto che si manifestano – sottolinea la Coldiretti – con la più elevata frequenza di eventi estremi con sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal maltempo alla siccità che mette a rischio soprattutto i boschi creando le condizioni per il divampare di roghi. Un costo drammatico che l’Italia è costretta ad affrontare perché – continua la Coldiretti – è mancata l’opera di prevenzione nei boschi che, a causa dell’incuria e dell’abbandono, sono diventati infatti vere giungle ingovernabili”.
Gli analisti di Coldiretti evidenziano un fatto da non sottovalutare: l’inarrestabile avanzata della foresta avviene senza alcun controllo, impossessandosi di terreni lasciati incolti dall’abbandono delle aree coltivabili. La superficie nazionale è praticamente raddoppiata rispetto all’Unità d’Italia. Attualmente presenta una densità che la rende del tutto impenetrabile ai necessari interventi di manutenzione, difesa e sorveglianza.
Valorizzare le funzioni di manutenzione degli agricoltori
“Per difendere il bosco italiano occorre creare le condizioni – rileva Coldiretti – affinché si contrasti l’allontanamento dalle campagne e si valorizzino quelle funzioni di sorveglianza, manutenzione e gestione del territorio svolte dagli imprenditori agricoli. Un’opportunità può arrivare dall’aumento del prelievo del legname dai boschi con lo sviluppo di filiere. Dobbiamo ricordare – conclude la Coldiretti – che l’Italia importa dall’estero più dell’80% del legno necessario all’industria del mobile, della carta o del riscaldamento. L’industria italiana del legno è la prima in Europa, ma con legname che arriva da altri Paesi vicini come Austria, Francia, Svizzera e Germania a dimostrazione di un grande potenziale economico inutilizzato”.
Analisi confermata da chi quotidianamente si occupa di migliorare la gestione attiva e sostenibile dei boschi. “E’ vero, i boschi italiani sono in espansione, e questa è una buona notizia, ma purtroppo la stragrande maggioranza di essi è in stato di abbandono, sia sul versante pubblico che privato” commenta Diego Florian, direttore di FSC Italia, uno dei principali schemi di certificazione per la gestione forestale responsabile. “Ne è riprova il fatto che i boschi cedui e le fustaie, quelli che producono legna da ardere, hanno la stessa estensione dell’inventario precedente, ossia 3,8 milioni di ettari: i dati confermano una contrazione nell’utilizzazione. Inoltre solo il 9,5% dei cedui è nella fase “giovanile” e solo il l’1,2% “in rinnovazione”, un dato bassissimo, che possiamo interpretare con una presenza molto limitata di attività umane legate al bosco”.

Mappa delle regioni italiane per indice di boscosità (%), con indicazione della superficie del Bosco per abitante (migliaia di m2). FONTE: terzo Inventario Forestale Nazionale INFC 2015
I boschi abbandonati sequestrano meno CO2
Preoccupante anche il dato sulla superficie media assestata, ossia sottoposta a tecniche di gestione razionale: “Se togliamo il Trentino Alto Adige, dove raggiunge quota 43,4%, nel resto d’Italia la superficie media è ferma all’11,3%” sottolinea Florian. La foto che emerge dall’inventario, insomma, mette in luce lo stato di abbandono di larga parte del nostro patrimonio forestale e la mancanza di una pianificazione pubblica in un’epoca in cui non possiamo proprio permettercelo. Una gestione attiva delle aree boschive permetterebbe di contrastare la situazione di precarietà evidenziata dall’inventario. Anche perché – rivela l’Inventario – la percentuale di bosco dotata di piani particolareggiati è abbastanza limitata sul territorio nazionale: il 15.3% ed è in diminuzione.
“Quanto alla cattura dell’anidride carbonica – ricorda il direttore di FSC Italia – un bosco ben gestito e non abbandonato a sé stesso consente lo stoccaggio di un maggior quantitativo di CO2:. È un po’ come una spugna: se è già zuppa, non riesce ad assorbire efficientemente ancora acqua”. Insomma, “questi dati ci dicono che stiamo facendo troppo poco per il controllo e la gestione del nostro preziosissimo patrimonio forestale”.
Gestione razionale, questa sconosciuta
È lo stesso INFC a evidenziare questa situazione: sul 37.4% della superficie dei boschi non si registra alcun intervento di natura selvicolturale. Le pratiche selvicolturali più diffuse (41.4% della superficie boschiva) sono di tipo minimale, cioè si interviene solo con il taglio “produttivo”. Sul 14.6% si eseguono interventi colturali durante il ciclo vitale del soprassuolo, mentre le pratiche intensive caratterizzano una quota ridotta della superficie del bosco (pari all’1.5%). Queste ultime comprendono l’impianto, le potature, le lavorazioni del terreno ed altre che caratterizzano tipicamente l’arboricoltura. Il 2.2% della superficie del bosco riceve pratiche speciali in virtù di produzioni di tipo non legnoso, come ad esempio le castagne o il sughero. Interventi specifici per funzioni particolari come quella paesaggistica, ricreativa o storico-culturale, sono praticati su una quota molto limitata della superficie del bosco (0.3%).

Quali pratiche selvicolturali vengono eseguite nei boschi italiani? FONTE: terzo Inventario Forestale Nazionale
INFC 2015