Ospite del Festival CinemAmbiente di Torino, l’attivista e filosofa indiana parla di agricoltura sostenibile, conflitti e futuro: “Il modello intensivo non funziona. Dobbiamo tornare a una produzione rispettosa della terra e capace di garantire cibo di qualità a tutti”
di Matteo Cavallito
Listen to “Vandana Shiva “Contro la guerra al suolo costruiamo un’agricoltura di pace”” on Spreaker.
Recuperare e difendere la vera agricoltura, quella basata sul rispetto della natura e della biodiversità e fondata sul riciclo; curare la terra per salvare il Pianeta dalla crisi climatica; fermare la speculazione e, più in generale, “la guerra al suolo e ai suoi agricoltori”. È il messaggio lanciato da Vandana Shiva, in occasione della 25a edizione del Festival CinemAmbiente di Torino.
Parole chiare, a tratti anche dure, ma sempre accompagnate da un solido ottimismo per il futuro quelle pronunciate dalla filosofa e attivista indiana giunta nel capoluogo piemontese per ritirare il Premio “Dalla Terra alla Terra” conferitole da Biorepack (Consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile). L’occasione è buona per discutere di problemi vecchi e nuovi, in ogni caso irrisolti. Tra modelli intensivi, crisi climatica e conseguenze della guerra.
Dottoressa Shiva, a suo giudizio quali caratteristiche deve avere l’agricoltura per essere definita “sostenibile”?
Per essere definita sostenibile l’agricoltura deve seguire le leggi della natura che comprendono fattori come biodiversità, riciclo, economia circolare, giustizia e così via. L’agricoltura intensiva non è vera agricoltura ma un modello che riproduce le tecniche di guerra. I pesticidi, ad esempio, sono stati sviluppati originariamente a partire dai gas usati nei conflitti; i fertilizzanti derivano dagli esplosivi; anche i grandi macchinari agricoli nascono dallo sviluppo della tecnologia bellica.
La vera agricoltura non può copiare il paradigma della guerra contro la terra e contro gli esseri umani. Dobbiamo tornare a un’agricoltura basata sull’amore e sulla volontà di prendersi cura delle persone, della terra e dei semi da cui deriva la nostra sopravvivenza.
Sono bastati 50 anni di agricoltura intensiva per disastrare il nostro Pianeta. Oggi il 50% dei gas serra deriva dall’agricoltura intensiva, il 75% del suolo è stato distrutto dalle coltivazioni intensive, senza contare la deforestazione, la desertificazione e le malattie croniche che derivano da questo modello. Dobbiamo quindi tornare a una forma di agricoltura più vicina alla natura senza dimenticare che noi stessi siamo il suolo e che in questo senso siamo parte della famiglia della natura ma in qualità di membri, non di patriarchi che possono deciderne il destino. Dobbiamo tornare a un sistema agricolo rispettoso della natura che ci permetterà di produrre cibo di qualità per tutti.
L’applicazione delle buone pratiche agricole rispettose del suolo e degli equilibri naturali può essere un fattore decisivo nel contrasto al cambiamento climatico?
Si può combattere la crisi climatica anche e soprattutto attraverso la rigenerazione del terreno. Il suolo è un essere vivente con i suoi microorganismi che rappresentano il processo di produzione del cibo. Le pratiche che rendono il suolo malato impattano anche sulla sicurezza alimentare depauperando gli alimenti dei loro nutrienti. Dal momento che biosfera e atmosfera sono collegati, ecco che guarire la terra nella sua totalità consentirà di contrastare la crisi climatica rigenerando il suolo attraverso la biodiversità e le buone pratiche.
Tra inflazione, speculazione sul mercato delle materie prime e conseguenze della guerra in Ucraina il mondo sta affrontando una crisi alimentare sempre più grave. Quali sono a suo giudizio le azioni più urgenti da intraprendere per tutelare l’accesso al cibo soprattutto nei Paesi più poveri?
Nel mondo si è sempre prodotto cibo ma l’attuale insicurezza alimentare è stata causata recentemente più che altro dall’introduzione forzata, anche nel mio Paese, dell’agricoltura intensiva nel nome di quella cosiddetta “rivoluzione verde” che in realtà si è rivelata piuttosto sanguinosa. L’insicurezza nasce insomma dalla globalizzazione e dalle regole del libero commercio definite dal WTO e che hanno portato nell’ultimo decennio a una forte speculazione aprendo la strada agli operatori finanziari. La guerra in Ucraina ha reso la produzione agricola qualcosa su cui speculare e sta addirittura sdoganando gli OGM di fronte alla richiesta di produrre sempre di più.
Oggi in realtà dobbiamo recuperare la sovranità alimentare sia a livello locale che globale. Per fare questo possiamo anche ricorrere al commercio, ricordandoci però che il cibo non è una commodity: il cibo siamo noi.
Smettiamola di combattere guerre contro la terra, i suoi lavoratori e i nostri corpi. Dobbiamo sviluppare un’agricoltura della pace considerando che le persone che lavorano la terra in mondo non intensivo producono l’80% del nostro cibo. Si tratta di annullare e regole del libero commercio e promuovendo progetti diversi che sono già stati avviati, tra cui i biodistretti che si stanno sviluppando anche in Italia.
Salute del suolo e colture sostenibili. “Con l’agroecologia una transizione per il bene del Pianeta”
In conclusione, come vede il futuro dell’agricoltura globale nel quadro della mitigazione climatica, della biodiversità e della sicurezza alimentare? Ci sono elementi per poter essere ottimisti?
Sul futuro del mondo sono ottimista. In verità io costruisco il mio ottimismo, lo faccio crescere insieme alle cose che coltivo, insieme alla verità che vedo nei semi, alle piante che crescono e i fiori che si aprono. Alle menzogne propagandate alle persone contrappongo ciò in cui credo: la verità dei semi, la natura e la condivisione del cibo. Tutte cose che alimentano il mio ottimismo.