L’analisi della rivista: l’agricoltura statunitense, così come l’allevamento, fa i conti con il clima e la siccità. Mentre lo stato di salute del suolo desta crescente preoccupazione
di Matteo Cavallito
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L’agricoltura statunitense? È sempre più vittima del cambiamento climatico. Lo scrive Forbes tracciando un bilancio preoccupante dello stato dei terreni coltivati nel Paese. “Mentre la devastante siccità si estende dall’Illinois al Texas fino alla California, una dettagliata mappatura e la proiezione dei dati portano altre cattive notizie”, afferma la rivista. “Le aree agricole sono tra i luoghi degli Stati Uniti in cui si registrano i maggiori aumenti di temperatura“.
L’allarme è ormai esteso a diverse zone del Paese. A risentire delle conseguenze del clima è la produzione di mandorle, olio d’oliva, uva, insalata e agrumi nella Central Valley californiana. Così come la coltura di mais e soia in Arkansas e in altri Stati del Midwest. Solo nell’ultimo mese, inoltre, sono almeno 2mila i capi di bestiame morti in Kansas durante l’ondata di caldo sperimentata nell’area.
La siccità minaccia agricoltura e allevamento
L’aumento delle temperature favorisce ovviamente un altro fenomeno devastante: la siccità. Tra le prime conseguenze c’è l’incremento esponenziale del prezzo dell’acqua che “sta inducendo alcuni allevatori del New Mexico e dell’Arizona a valutare l’opportunità di chiudere la loro attività”, prosegue la rivista.
Epicentro del problema è il Texas, lo Stato che contribuisce maggiormente alle emissioni di gas serra nel Paese: qui la siccità “è responsabile delle pessime condizioni dell’11% delle coltivazioni di mais”.
Insomma, “le regioni su cui l’America fa maggiore affidamento per sfamarsi si stanno inaridendo”, spiega Forbes. “Con l’aumento della popolazione, è stata pompata più acqua per le aree residenziali e le aziende agricole su larga scala. Le falde acquifere come l’Oglala nel Midwest e i corsi d’acqua come il fiume Colorado che sfociano in California e in Arizona si trovano in una situazione critica”.
Un problema globale
Quello della siccità, ovviamente, non è solo un problema a stelle e strisce. A patire le conseguenze peggiori nel mondo sono i Paesi in via di sviluppo dove, ricorda la World Meteorogical Organization, la carenza d’acqua è la prima causa di morte tra le vittime dei disastri naturali (650 mila su 2 milioni circa negli ultimi 50 anni).
Il fenomeno è in crescita anche nelle aree economicamente sviluppate che hanno sperimentato un aumento del 29% degli eventi di siccità dal 2000 a oggi nel confronto con i decenni precedenti.
A conti fatti, ha ricordato di recente Pier Paolo Roggero, professore ordinario di Agronomia e coltivazioni erbacee presso l’Università degli Studi di Sassari, “Oltre 2,3 miliardi di persone sono afflitti da questioni che riguardano l’acqua a livello planetario. Gli impatti sono particolarmente gravi per le categorie più deboli: donne e bambini sono i più esposti. Eppure, i danni della siccità sulla società, sugli ecosistemi e sull’economia sono decisamente sottostimati”.
La salute del suolo nel mirino
Tra gli aspetti più preoccupanti che emergono dall’analisi c’è lo stato di salute dei terreni. I suoli americani dedicati al pascolo e all’agricoltura sono in condizioni critiche a seguito di fenomeni di lungo periodo che stanno attualmente presentando il conto.
“Negli ultimi 160 anni, nel Midwest americano sono stati erosi quasi 60 miliardi di tonnellate di suolo superficiale”, scrive la rivista. “Ogni anno una quantità eccessiva di terreno si perde a causa di fattori umani come l’inquinamento da fertilizzanti, l’uso di prodotti chimici per l’agricoltura e il rilascio di antibiotici. Alcuni esperti prevedono che la Terra esaurirà il suo suolo di superficie entro sei decenni”.
Gli allarmi, peraltro, non sono una novità. Ogni anno, ha rivelato il quotidiano britannico The Independent citando le stime condivise in esclusiva delle organizzazioni World Animal Protection US (WAP) e Center for Biological Diversity (CBD), i produttori di mangimi negli Stati Uniti spargono sui loro campi più di 106mila tonnellate di pesticidi minacciando così migliaia di specie a rischio. Il settore contribuisce inoltre all’espansione della produzione di mais e soia che, oltre a stimolare l’impiego di pesticidi, favoriscono la distruzione di diversi habitat naturali, vittime della riconversione del suolo in campi per le monocolture. Tra questi le iconiche praterie. Che, tra il 2018 e il 2019, hanno ceduto circa un milione di ettari alle coltivazioni.