Il settore agroalimentare, sostiene la FAO, è contemporaneamente vittima e causa del cambiamento climatico. La soluzione al problema passa dall’applicazione di alcune strategie chiave orientate alla carbon neutrality e sostenute dai governi
di Matteo Cavallito
Il settore agroalimentare può e deve fare di più per contrastare il cambiamento climatico. Tale impegno si concretizza nell’implementazione di buone pratiche capaci di fare la differenza per un comparto che si conferma tra i principali responsabili degli alti livelli di emissioni di origine umana. È il messaggio lanciato dalla FAO nel suo ultimo rapporto “Investing in carbon neutrality: utopia or the new green wave? Challenges and opportunities for agrifood systems”.
L’indagine evidenzia come ad essere convolti in questo processo siano moltissimi attori, dal settore privato ai governi, chiamati a mettere in campo le diverse iniziative e a incentivare concretamente il cambiamento. “L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sul clima ci ricorda che abbiamo poco tempo per ridurre le emissioni, frenare il riscaldamento globale e affrontare la crisi climatica prima che sia troppo tardi”, ha affermato l’organizzazione. “I sistemi agroalimentari mondiali devono fare la loro parte”.
L’agricoltura è causa e vittima del cambiamento climatico
La filiera del cibo contribuisce alle emissioni di origine umana per una quota compresa tra il 21% e il 37%, ricorda la FAO. Che aggiunge: “Allo stesso tempo, il cambiamento climatico influisce negativamente e in modi diversi sugli attori del sistema agroalimentare, dai piccoli agricoltori ai grandi produttori. L’aumento delle temperature, il mutamento dei modelli delle precipitazioni e le interruzioni della catena di fornitura hanno già un impatto sulla produzione alimentare, minando gli sforzi globali per porre fine alla povertà. Il risultato è che il numero di persone che soffrono la fame potrebbe raggiungere quota un miliardo entro il 2050“.
Insomma, come ricorda il direttore del FAO Investment Centre, Mohamed Manssouri, “l’agricoltura è sia causa che vittima del cambiamento climatico e deve essere quindi parte della soluzione”.
Le buone pratiche hanno un potenziale enorme
Per contrastare il cambiamento climatico il settore deve intervenire lungo tutta la filiera per ridurre il suo impatto ma anche per sfruttare la capacità di sequestro del carbonio. Già nel 2014, il Quinto Rapporto di Valutazione dell’Intergovernamental Panel on Climate Change stimava che l’implementazione delle buone pratiche nel settore agricolo potesse tradursi in un risparmio di emissioni pari a 4 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2030.
Determinante, inoltre, il potenziale delle terre da pascolo. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Agriculture, Ecosystems & Environment, una corretta gestione di queste distese potrebbe favorire ogni anno il sequestro di 300 milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica su scala globale.

La distribuzione globale del potenziale di sequestro di carbonio nei terreni adibiti a pascolo, Henderson al. 2015. Immagine: FAO 2022 AttributionNonCommercial-ShareAlike 3.0 IGO licence (CC BY-NC-SA 3.0 IGO)
Il settore privato deve fare di più
La riduzione dell’impatto del settore agroalimentare, sostiene la FAO, porterà importanti benefici al settore privato. La lista include la riduzione dei costi, l’attenuazione dei rischi, la protezione del valore del marchio, la garanzia della sostenibilità della catena di approvvigionamento a lungo termine e l’ottenimento di vantaggi competitivi. Anche se alcune aziende si sono impegnate a raggiungere obiettivi ambiziosi, prosegue il rapporto, gli sforzi non sono stati uniformi.
A pesare, in particolar modo, è il fatto che le pratiche di riduzione della CO2 siano implementate ancora su base volontaria. I costi, inoltre, rappresentano un problema sia per le aziende più piccole che per i consumatori che non sembrano disposti a pagare di più per un prodotto sostenibile. Inoltre, aggiunge l’organizzazione, a fronte dei prezzi attuali nel mercato dei crediti della CO2, nei settori ad alta intensità di emissioni le attività di compensazione possono costare molto meno rispetto a quelle di riduzione. Un disincentivo per queste ultime dunque.
Dalla FAO cinque azioni per il clima
Per queste ragioni la FAO ha identificato cinque aree d’azione che coinvolgono politici, imprese, agricoltori e organizzazioni internazionali e che puntano ad accelerare la transizione verso sistemi agroalimentari più sostenibili. Secondo l’organizzazione, in particolare, occorre:
- puntare strategicamente alla neutralità;
- migliorare e standardizzare strumenti e metodi di contabilizzazione del carbonio;
- promuovere solidi meccanismi di governance;
- sostenere direttamente le aziende e gli agricoltori nella decarbonizzazione;
- formare le persone e comunicare l’importanza del problema.
I governi hanno un ruolo chiave
In questo contesto diventa estremamente importante il ruolo dei governi. Tocca agli esecutivi, infatti, regolamentare le emissioni di carbonio o fornire incentivi per l’adozione di tecnologie a basse emissioni. Ma anche sostenere lo sviluppo di carbon market trasparenti ed efficienti e concedere finanziamenti e incentivi per aziende e agricoltori. Un aspetto, quest’ultimo, particolarmente rilevante.
Secondo una recente indagine del World Economic Forum, ad esempio, nell’Unione Europea “il sostegno agli agricoltori chiamati a intraprendere azioni mirate per il clima consentirebbe di ridurre del 6% le emissioni di gas serra e di ripristinare la salute del suolo su oltre il 14% dei terreni agricoli“. Oltre a “far crescere il reddito degli operatori del settore con un incremento annuale compreso tra 1,9 e 9,3 miliardi di euro”.