29 Settembre 2021

Storicamente sottovalutate, le emissioni delle attività pre e post produzione incidono al rialzo sulle stime dell’impronta climatica totale del settore alimentare. Tubiello (FAO): “Il bilancio zero non basta più, dobbiamo ridurre l’impatto di tutti i comparti”

di Matteo Cavallito

 

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Nel 2018, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati completi, il sistema alimentare globale ha prodotto emissioni per 16 miliardi di tonnellate di CO2. Ovvero l’8% in più rispetto all’ammontare rilevato nel 1990. I dati sono frutto di una più attenta rilevazione le cui conclusioni sono state pubblicate di recente dalla FAO. Secondo gli analisti, in particolare, prendendo in considerazione tutte le variabili in gioco – incluse soprattutto le attività di pre e post-produzione – la filiera del cibo contribuirebbe da sola a circa un terzo delle emissioni legate alle attività umane. Un livello superiore rispetto a quello suggerito da alcune stime precedenti che ipotizzavano quote comprese tra il 20 e il 25%.

Meno deforestazione, più emissioni dalla filiera alimentare

“I risultati non sorprendono”, spiega Francesco Tubiello, statistico senior, esperto di cambiamenti climatici presso la FAO e coordinatore dello studio. “Da qualche anno, infatti, le diverse stime stavano iniziando ad allinearsi al rialzo. Il nostro lavoro ci ha portato a conteggiare i singoli dati nazionali, che sono frutto di sistemi di rilevazione e classificazione diversi, e soprattutto a includere processi di filiera e consumo che prima non erano conteggiati”.

A conti fatti, si legge nella ricerca, le emissioni associate al cambiamento di destinazione d’uso del suolo ammontano a circa 3,2 miliardi di tonnellate contro i quasi 4,5 del 1990.

Quelle relative alle attività produttive in senso stretto (farm-gate) sono stimate in 7,1 miliardi. Il contributo delle attività di pre e post-produzione (le cosiddette off-farm che includono tra le altre cose i trasporti e lo smaltimento) ammonta a 5,8 miliardi.

È stata proprio la crescita delle attività farm-gate e off-farm a compensare il calo delle emissioni legate al cambiamento di destinazione del terreno. Tra le sotto-categorie spicca il boom dell’impatto dei trasporti che, pur rappresentando una quota minoritaria dell’impatto totale (circa 500 milioni di tonnellate), sono aumentate dell’80% rispetto al 1990. Nello stesso periodo, per i soli Paesi in via di sviluppo, il dato è quasi triplicato.

Nelle economie avanzate le attività off-farm sono decisive

Le differenze tra  le diverse economie, suggerisce lo studio, restano evidenti. Quasi tre quarti delle emissioni complessive legate alla filiera alimentare sono state generate nei Paesi poveri o emergenti (contro i due terzi circa del 1990). Queste stesse nazioni, inoltre, contribuiscono da sole a oltre il 90% delle emissioni legate alla deforestazione. E, più in generale, al cambiamento dell’uso del suolo (3 miliardi di tonnellate su 3,2 complessive). Un segnale della persistenza del problema pur a fronte di una riduzione del fenomeno, calato in modo consistente rispetto ai livelli del 1990 (oltre 4,6 miliardi di tonnellate).

E nelle economie avanzate? “Qui le attività pre e post produzione sono molto rilevanti” spiega ancora Tubiello. “Pesano i trasporti, ovviamente, ma anche il consumo domestico e le attività di stoccaggio nei magazzini e nei supermercati, senza contare i processi di smaltimento dei rifiuti. Accelerare la sostituzione dei combustibili fossili e progettare strategie circolari di gestione dei rifiuti diventa così decisivo”.

“Il gioco a somma zero? Non basta più”

Se a livello globale sembra emergere una certa consapevolezza dell’impatto climatico del comparto alimentare viene da chiedersi, inevitabilmente, se il Pianeta stia facendo abbastanza per contrastare il fenomeno. “L’agricoltura si sta evolvendo e il mondo sperimenta un significativo impegno per la riduzione delle emissioni anche se la crescita di alcune componenti del food system resta problematica” spiega Tubiello.

Tuttavia, aggiunge, la questione più importante sembra essere un’altra. “Il calo delle emissioni associate alla deforestazione è utilizzato soprattutto per bilanciare gli aumenti registrati in altri settori attraverso il carbon market“, spiega. “Il fatto, però, è che oggi non possiamo più limitarci a perseguire l’obiettivo del bilancio zero ma dobbiamo necessariamente accelerare sul fronte della diminuzione generale dell’impatto climatico. Insomma, è necessario ridurre le emissioni a ogni livello della catena senza ricorrere a meccanismi di bilanciamento. Nel comparto alimentare e non solo”.