I dati preliminari di uno studio europeo fotografano l’agroecologia tricolore. La vitalità dei movimenti non manca ma per ora prevale una certa dispersione delle iniziative. In futuro necessaria più ricerca interdisciplinare
di Matteo Cavallito
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In Italia l’agroecologia è tuttora caratterizzata da forte dispersione e limitata presenza di iniziative accademiche. Il settore, tuttavia, sperimenta anche “un grande fermento” come evidenziano, in particolare, i tentativi di recupero delle pratiche tradizionali da parte degli agricoltori con il sostegno di diverse associazioni. Sono le conclusioni preliminari di uno studio presentato a Torino nel corso di Terra Madre Salone del Gusto 2022, lo storico appuntamento organizzato da Slow Food.
Inserita nell’ambito del progetto continentale AE4EU – Agroecology for Europe, la ricerca ha consentito di creare una prima mappa delle iniziative agroecologiche nella Penisola. La relazione definitiva, che affiancherà i diversi report nazionali realizzati dagli altri ricercatori coinvolti nell’iniziativa UE, sarà pubblicata entro la fine dell’anno.
Agroecologia tra agricoltura e salute del suolo
Quello dell’agroecologia, spiegano da tempo gli esperti, non è un concetto facilmente inquadrabile. L’idea di fondo è chiara: applicare i principi ecologici all’agricoltura garantendo un uso rigenerativo delle risorse naturali – a cominciare dal suolo – e dei servizi ecosistemici. Il tutto, ovviamente, senza dimenticare la necessità di creare sistemi alimentari socialmente equi. Scienza, ambiente e attivismo politico, dunque. Ma non solo. Perché la disciplina chiama in causa anche un altro elemento: quello della tradizione.
L’agroecologia, infatti, rappresenta un punto di incontro tra sapere tradizionale e scienza moderna, ha spiegato in passato uno dei massimi esperti del tema, l’agronomo ed entomologo cileno Miguel Altieri, docente all’università di Berkeley in California.
Fondamentale, rileva poi lo stesso Altieri, anche il suo approccio olistico che stabilisce una correlazione tra la salute del suolo, dell’agricoltura e degli esseri umani. Un fenomeno complesso, insomma. Che secondo i ricercatori italiani deve essere indagato analizzando per lo meno cinque diverse dimensioni: formazione, centri di innovazione (come i Living Labs), movimenti, pratiche e scienza.
Non tutte le università offrono corsi specifici
La formazione è il primo aspetto affrontato dai ricercatori. A livello accademico, spiegano, l’agroecologia non è ancora stata integrata in tutti i corsi di laurea o di master come materia di insegnamento principale. Fanno eccezione alcuni atenei – Firenze, Reggio Calabria, Padova, Politecnico di Milano, Pollenzo e Sant’Anna di Pisa – che propongono corsi di agroecologia, un master e un programma di dottorato largamente basato sui principi di questa disciplina. Il panorama formativo italiano si caratterizza anche per le iniziative informali dal basso condotte da piccole associazioni. Anche se l’assenza di figure professionali, al momento, non permette lo sviluppo di corsi ufficialmente riconosciuti per agricoltori e agronomi.
Quanto ai Living Labs, rileva lo studio, si riscontra una diffusa applicazione di principi riconducibili all’agroecologia. Ma nessun centro di innovazione sembra fare riferimento esplicito alla disciplina nell’esposizione dei propri progetti.
Interessante il caso degli attivisti, per i quali le dimensioni politiche e sociali dell’agroecologia sembrano essere strettamente legate. “Parliamo di movimenti che affrontano questioni sociali come la lotta allo sfruttamento dei lavoratori migranti, il recupero delle terre sequestrate alla mafia, l’agricoltura urbana e la cooperazione internazionale, spiega Davide Primucci, ricercatore presso la Scuola Sant’Anna di Pisa e co-autore dello studio. Non sempre, tuttavia, le iniziative condotte sono riconosciute necessariamente come agroecologiche.
La riscoperta delle pratiche tradizionali
La dimensione più feconda, al momento, sembrerebbe essere quella relativa all’applicazione diretta delle pratiche agricole previste dalla disciplina. Dallo studio, ad esempio, emerge una certa diffusione di tecniche per lo sviluppo dell’agricoltura e il mantenimento della salute del suolo. Tra queste: la rotazione delle colture, l’irrigazione a basso consumo di acqua e l’uso delle fasce tampone per citarne solo alcune.
In Italia, spiegano i ricercatori, si nota una riscoperta di alcune pratiche tradizionali, anche se vi sono importanti differenze tra le diverse regioni che sono fortemente legate ai diversi aspetti morfologici dell’ambiente. Nelle zone montane e collinari, in particolare, l’agroecologia è vista come uno strumento di valorizzazione dei territori marginali, anche in chiave turistica.
Un settore eterogeneo ma in fermento
Infine la scienza: sono soprattutto le discipline ambientali ad occuparsi del tema, rilevano i ricercatori, mentre nel campo degli studi agricoli si nota minore interesse. Tra gli esperti, in ogni caso, la definizione di agroecologia è ancora oggetto di dibattito.
Tutto considerato, in ogni caso, “il settore agroecologico italiano vive un momento di grande fermento che si percepisce nelle cinque dimensioni osservate e che attrae sempre più attenzione da parte di diversi attori”, spiega Angelica Marchetti, ricercatrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, co-autrice dello studio e membro dell’Agroecology Europe Youth Network.
“Tuttavia”, aggiunge, “questo fermento si traduce spesso in una grande dispersione motivata anche dalla non perfetta conoscenza del concetto stesso di agroecologia”. Anche per questo, in futuro, sarà necessario fare un ricorso più ampio a un approccio interdisciplinare per studiare una ristrutturazione dell’intero sistema agricolo. Oltre a una maggiore organizzazione degli operatori, a cominciare dai giovani, attraverso la creazione di un network nazionale.