Solo in Italia ogni anno vengono sottoposte a torrefazione 600mila tonnellate di chicchi di caffè. Recuperare gli scarti può trasformarsi in un’ottima soluzione per restituire sostanza organica ai suoli producendo biochar e compost
di Stefania Cocco, Valeria Cardelli, Dominique Serrani, Lorenzo Camponi, Andrea Salvucci, Giuseppe Corti *
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Il caffè è una delle bevande più consumate nel mondo e gli italiani sono tredicesimi in classifica per consumo pro capite con l’impiego equivalente di 5,9 kg all’anno di caffè torrefatto. In Finlandia si ha un consumo annuo procapite di 12 kg, di 10 in Norvegia, 9 in Islanda e Danimarca, circa 8 in Olanda, Svezia e Svizzera, 7 in Belgio e un po’ più di 6 in Lussemburgo, Canada, Bosnia-Erzegovina e Austria. I maggiori produttori di caffè sono Brasile, Vietnam, India, Perù, Guatemala, Honduras, Ecuador, Colombia ed Etiopia, dove la coltivazione di questa pianta occupa decine di migliaia di persone.

I maggiori consumatori di caffè nel mondo. FONTE: WorldAtlas 2020.
Solo in Italia 100mila tonnellate annue di scarti da torrefazione
Il caffè, all’origine, è una drupa (come una ciliegia) che contiene due semi centrali posti a combaciare. Tipicamente, viene esportato il cosiddetto caffè verde, vale a dire i due semi liberati da buccia e polpa, che rappresentano il 30% circa della drupa. Nei Paesi di origine, questo primo scarto della lavorazione delle drupe viene normalmente distribuito nei campi o essiccato per farne combustibile. L’Italia è tra i maggiori importatori di caffè verde, con quantità annuali di circa 600mila tonnellate che vengono sottoposte a torrefazione e che producono uno scarto stimato intorno alle 100mila tonnellate. Nonostante gli scarti di torrefazione possano avere numerosi impieghi, nel nostro Paese questa enorme quantità di sottoprodotto organico va per gran parte a finire in discarica.

La presenza di carbonio organico nel suolo nell’UE – 2015 (g/kg). FONTE: JRC, 2018.
Al contempo, i suoli di tutto il Paese sono fortemente minacciati dalla riduzione di sostanza organica causata da eccessive lavorazione e concimazioni azotate, e che comporta riduzione della fertilità. Ecco che allora, si rivela molto importante il riciclo di matrici organiche derivanti dal settore agro-alimentare al fine di produrre compost di qualità che, una volta incorporati nel suolo, siano in grado di recuperare almeno parte della fertilità dei suoli. Va considerato che gli scarti di torrefazione allo stato fresco contengono caffeina, tannini e acidi clorogenici che sono tossici per animali e piante e, pertanto, è sconsigliata la dispersione degli scarti di torrefazione freschi al suolo per i danni che potrebbero causare all’ecosistema, in particolar modo alla pedofauna. Per questo motivo è necessaria una valutazione qualitativa del prodotto da compostare, così da prevedere la qualità del compost finale.

La presenza di carbonio organico nel suolo nell’UE – 2015 (g/kg). FONTE: JRC, 2018.
Caratteristiche interessanti per biochar e compost
Gli scarti di torrefazione sono costituiti dalle membrane che avvolgono i due semi (dette pergamino), frammenti di semi e impurezze con una composizione chimica variabile a seconda della specie di caffè, della regione di origine e del processo di torrefazione. Dati di letteratura indicano come questi scarti contengano il 24% di cellulosa, il 30% di emicellulosa e il 24% di lignina, con buoni contenuti di macro- e micro-nutrienti: 1700–1800 mg/kg−1 di azoto, 80 mg/kg−1 di fosforo e contenuti variabili di potassio che possono arrivare a 600 mg/kg−1. Il rapporto Carbonio/Azoto (C/N) si aggira intorno a 30.
Tali caratteristiche rendono il prodotto interessante per la produzione di biochar e compost.
L’uso di biochar prodotto a partire da scarti di torrefazione ha dato ottimi risultati in suoli tropicali acidi (dove ha determinato l’innalzamento di pH, conducibilità elettrica, capacità di scambio, sostanza organica, azoto totale e fosforo disponibile), ma comporta ben pochi vantaggi nei suoli subalcalini e alcalini, come lo sono gran parte di quelli italiani.
Al contrario, il compost ottenuto da soli scarti di torrefazione o con l’aggiunta di altre matrici compostabili (trebbia di birra, per esempio) dà ottimi risultati in suoli subalcalini, dove aumenta la fertilità fisica, chimica e biologica e, di conseguenza, anche la produzione. Da considerare che il compostaggio condotto in maniera adeguata (90 giorni di cumulo con raggiungimento di una temperatura superiore ai 60°C) rappresenta allo stesso tempo un trattamento detossificante.
L’importanza della sperimentazione
In tutti gli esperimenti effettuati, potenziati in alcuni casi dall’inoculo di microorganismi durante il compostaggio o da una concimazione chimica, sono stati ottenuti interessanti risultati. Test effettuati su frumento tenero e canapa da seme coltivati su suoli subalcalini con contenuti di sostanza organica inferiore all’1% a cui è stato aggiunto concime e compost da scarti di torrefazione e trebbia di birra in quantità di 20 tonnellate a ettaro hanno prodotto il 30% in più rispetto al controllo dove era stato distribuito solo concime.
Alla luce di questi interessanti risultati, si ritiene utile proseguire la sperimentazione con lo scopo di migliorare la performance del prodotto finale, migliorando la qualità e salute dei suoli e favorire un processo di economia circolare a tutela dell’ambiente.
Il vantaggio offerto dagli scarti di torrefazione è che la loro raccolta è molto più facile rispetto ai fondi di caffè, la cui dispersione in abitazioni, bar e strutture ricettive rende più difficoltoso il collettamento. Inoltre, l’aumento di produzione è connesso ad un aumento di biomassa radicale che contribuisce più di altre frazioni organiche a incrementare la sostanza organica del suolo, così da avere un più rapido recupero della fertilità dei suoli e, per i suoli in pendenza, una diminuzione dell’erosione.
* Gli autori
Stefania Cocco
Professore associato di Pedologia, PhD in Geobotanica e Geomorfologia. Interessi di ricerca: genesi di suoli agrari, forestali, urbani e subacquei; suolo e cambio climatico; rizosfera; soluzioni ecologiche; mineralogia del suolo; erosione idrica; suoli di ambienti aridi; suoli alpini e artici; paleosuoli; Oxisols.
Valeria Cardelli
PhD in pedologia. Collabora con università spagnole e americane per lo studio di suoli forestali e naturali, e sul reimpiego di materiali di scarto in agricoltura. Titolare di assegno di ricerca su riuso sostenibile di scarti di estrazione di idrocarburi.
Dominique Serrani
PhD in Pedologia. Studia gli effetti dello slash and burn sulla fertilità di suoli di sistema agroforestale in Mozambico. Titolare di assegno di ricerca sulla misura dell’erosione e sul monitoraggio della fertilità del suolo in ambienti collinari dell’Italia centrale.
Lorenzo Camponi
Dottore Forestale, CONAF Marche, attualmente dottorando in Pedologia. Si interessa di valutazione degli effetti dei cambi d’uso del suolo su differenti tipologie colturali in ambiente agro-forestale. In particolare: valutazione degli effetti sui parametri fisico-chimici della componente organica del suolo in foreste in conversione; valutazione degli effetti della gestione sulla rizosfera di nocciolo.
Andrea Salvucci
Dottore Agronomo, CONAF Marche. Attualmente dottorando in Pedologia. Si interessa di caratterizzazione pedologica e miglioramento di suoli salini.
Giuseppe Corti
Già presidente della Società Italiana di Pedologia, è attualmente direttore del Centro Agricoltura e Ambiente del CREA.