Di fronte all’incapacità di prevenire il rischio climatico, l’economia mondiale potrebbe patire un danno pari al 20% del Pil entro la fine del secolo. Mentre la riduzione della biodiversità impatta sul sistema produttivo.
di Matteo Cavallito
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Il futuro dell’economia passa dalla transizione ecologica. Ma attenzione: per garantire un futuro all’economia stessa occorre agire da subito. Anche perché, a conti fatti, le indicazioni fornite dai numeri appaiono di per sé inequivocabili. I benefici netti, insomma, sono chiari. “Anche dal punto di vista della stabilità finanziaria” ha affermato Christine Lagarde, numero uno della Banca Centrale Europea e dello European Systemic Risk Board. Il riferimento corre all’ultimo report congiunto dei due enti. Secondo il quale “non affrontare i rischi legati al clima potrebbe determinare un calo del 20% del PIL globale entro la fine del secolo”.
Nessun dubbio, dunque, sulla necessità di accelerare, tra le altre cose, sui piani di sviluppo dell’agricoltura sostenibile e della tutela del suolo. “Qualunque siano i costi a breve termine di una transizione ordinata”, ha aggiunto infatti la Lagarde, “questi saranno minimi in confronto ai danni di un cambiamento climatico incontrollato nel medio e lungo periodo”.
Un rischio da 50 miliardi l’anno
In assenza di iniziative concrete nel contrasto al cambiamento climatico, si legge nel rapporto, i rischi di perdite per le imprese maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra “diventeranno predominanti nello spazio di 15 anni”. Fenomeni come gli incendi (un tema, per altro, da tempo all’attenzione della UE), le ondate di caldo e le crisi idriche, inoltre, “potrebbero impattare anche sul 30% degli investimenti delle banche europee nel mondo delle imprese”. Detto in altri termini, a subire il contraccolpo sarebbero anche gli operatori finanziari. Colpendo così l’economia continentale nel suo complesso.
Le perdite, prosegue il rapporto, “dovrebbero crescere fino a quasi 50 miliardi di euro all’anno entro la fine di questo secolo nella prospettiva di un incremento delle temperature globali pari a 3°C”. Efficaci politiche di mitigazione climatica, per contro, permetterebbero di ridurre i danni “di oltre il 70%”.

Circa il 30% delle esposizioni creditizie del sistema bancario dell’area dell’euro verso le imprese riguarda soggetti esposti a un rischio elevato o crescente. © Banca Centrale Europea, Tutti i diritti riservati. Riproduzione per scopi educativi e non commerciali consentita.
Banche e fondi nel mirino
Il settore finanziario, avverte il rapporto, non può sperare di risolvere il problema con il sostegno delle compagnie assicurative. Ad oggi, nota infatti l’indagine, “si stima che solo il 35% delle perdite climatiche economicamente rilevanti siano attualmente assicurate nella UE”. Mentre “le esposizioni verso le imprese ad alte emissioni costituiscono il 14% dei bilanci totali del settore bancario della zona euro”. Morale: “le perdite relative a queste imprese potrebbero comportare danni pari al 10% dei bilanci bancari stessi in caso di declassamento del rating associato a un rapido aumento del prezzo della CO2 a livelli previsti dagli accordi di Parigi”.

I settori più a rischio in termini di riduzione del valore azionario in uno scenario di scarsa efficacia delle politiche di mitigazione climatica. © Banca Centrale Europea, Tutti i diritti riservati. Riproduzione per scopi educativi e non commerciali consentita.
I rischi, ovviamente, sono evidenti anche per i fondi di investimento. Troppo esposti, nella maggior parte dei casi, a settori dell’economia con un forte impatto climatico. Secondo gli autori del rapporto, soltanto l’11% dei fondi UE può oggi definirsi autenticamente green. Ovvero al riparo dai comparti più critici sotto il profilo ambientale. Per i restanti nove operatori circa su dieci, invece, le perdite di medio periodo potranno essere rilevanti. “Le ipotesi negative”, prosegue il rapporto, “suggeriscono una svalutazione aggregata diretta dell’1,2% sulle partecipazioni azionarie e le obbligazioni societarie nei prossimi 15 anni”. Un problema enorme che impatta su oltre il 60% delle attività dei fondi. Pari, a loro volta, a circa 8.000 miliardi di euro.
Dal clima alla biodiversità
Per l’economia, in ogni caso, il fattore climatico non rappresenta l’unico rischio ambientale da fronteggiare. A pesare, infatti, è anche la prospettiva dei danni legati alla contrazione della varietà presente negli ecosistemi. Non è un caso che alcuni osservatori abbiano iniziato a definire il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità come “le crisi gemelle che affliggono il sistema finanziario”. Una recente indagine commissionata dal governo britannico e nota come “The Dasgupta review“, in particolare, ha sottolineato come “il nostro sistema economico sia dipendente dalla biodiversità”.
Da tempo, nota ancora l’indagine, “I ministri dell’Ambiente del G7 hanno riconosciuto con grande preoccupazione che le crisi senza precedenti legate al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità rappresentano una minaccia esistenziale per la natura, le persone, la prosperità e la sicurezza”. Politiche di tutela e scelte di investimento in linea con le medesime, di conseguenza, diventano decisive per scongiurare i danni ambientali e le perdite finanziarie.