Seconda edizione degli Stati generali del suolo a Ecomondo di Rimini. Decine di esperti intervenuti, per confrontarsi sulle strategie migliori in grado di riportare carbonio organico nei suoli degradati e ridurre la CO2 in atmosfera
di Emanuele Isonio
Il 60-70% dei suoli europei è insalubre. Il 13% soggetto a erosione con perdite di rese agricole pari a 1,25 miliardi di euro. Il 25% dei terreni dell’Europa centrale, orientale e meridionale a rischio alto o molto alto di desertificazione. Il 78% della sigillazione dei suoli avviene in aree agricole. Tra 200 e 800mila morti all’anno causati dalla contaminazione dei suoli. 390mila siti da bonificare.
Sono i numeri più aggiornati dell’emergenza suolo resi noti da Mirco Barbero, capo del Soil Team, Unit Land Use & Management, Direzione Generale Ambiente della commissione Ue. Occasione, la seconda edizione degli Stati generali del Suolo, organizzati a Rimini da Re Soil Foundation in collaborazione con il Joint Research Center della Commissione europea e il Comitato scientifico di Ecomondo.
Alla ricerca di best practice replicabili
Un’occasione, quella degli Stati generali del suolo, per rappresentare con esperti italiani e internazionali lo stato di sviluppo dei lavori a tutela del suolo, risorsa molto sottovalutata e sempre più a rischio. Ma la seconda edizione è stata soprattutto dedicata ad analizzare quali siano gli strumenti più efficaci per costruire cicli del carbonio sostenibili. Al tavolo della discussione sia esperti della commissione europea e dei ministeri italiani competenti ma anche buone pratiche messe in atto da agricoltori che stanno agendo per diffondere le migliori soluzioni di innovazione e invertire il trend di degrado del suolo.
“Costruire cicli di carbonio sostenibili vuol dire riuscire a riportare sostanza organica e carbonio nel suolo migliorando la salute dello stesso” spiega David Chiaramonti, professore ordinario di Sistemi Energetici ed Economia dell’energia presso il Politecnico di Torino e membro del Comitato tecnico scientifico di Re Soil Foundation. “Le strategie più efficaci per ottenere l’obiettivo sono diverse: non esiste una soluzione unica ma vanno calate nella realtà agroclimatica e nelle caratteristiche dei suoli nei quali si opera. Rotazioni colturali ben studiate che riportino sostanza organica e nutrienti nel suolo, adozione di tecniche agricole altrettanto sostenibili come le colture di copertura e la pacciamatura. O, ancora, soluzioni tecnologiche come compostaggio e produzione di biochar attraverso carbonizzazione di residui e sottoprodotti agricoli in grado di essere reintrodotti nel suolo e di contribuire al miglioramento della vita microbiologica dello stesso”.
I benefici della proposta di legge europea sul suolo
Per fare tutto questo, però, è necessario conoscere il meglio possibile la condizione dei suoli continentali. E su questo fronte, soprattutto in alcuni Stati, c’è molto da fare. È proprio l’esigenza di colmare questa lacuna di conoscenza e di avere dati omogenei e comparabili riferiti a tutti i Paesi Ue che ha spinto la Commissione europea a presentare, a luglio scorso, la sua proposta di legge sul monitoraggio dei suoli europei. “Il testo – ha spiegato Barbero al pubblico presente in sala – ha lo scopo di costruire un sistema di intervento flessibile e proporzionato, che coinvolga tutti i suoli interni all’Unione. L’obiettivo è di arrivare all’adozione definitiva della legge entro il 2025”.
Una volta approvata, la legge renderà necessario da parte degli Stati membri di costruire una rete di monitoraggio sui diversi indicatori di salubrità dei suoli. In tal senso, l’Italia parte avvantaggiata, grazie al lavoro svolto in particolare dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale): “Siamo messi molto bene per quanto riguarda la richiesta di monitoraggio del consumo di suolo, dell’impermeabilizzazione. Il sistema italiano è già adatto a rispondere alle esigenze europee” spiega Francesca Assennato, membro dell’Unità protezione dei suoli ei siti contaminati dell’Ispra. “Su altri indicatori del suolo dovremo attrezzarci perché un monitoraggio sistematico non è ancora presente in tutte le regioni. In particolare dobbiamo lavorare sul contenuto di carbonio organico, l’erosione, la compattazione, la salinizzazione: tutti fenomeni di degrado da monitorare per avere un’idea migliore della qualità dei nostri suoli e aiutarci ad individuare le azioni migliori da adottare”.
L’importanza della rete di living labs
Per diffondere le buone pratiche sul fronte dei cicli di carbonio sostenibili, assumerà un ruolo cruciale la rete di lighthouse farms e living labs previste dalla Mission Soil della Ue. “Permetteranno di guidare la transizione verso suoli in salute entro il 2030. I primi living labs all’interno della mission soil partiranno nel 2024 e permetteranno di disporre di oltre 200 siti di test per sperimentazioni locali in aree urbane e rurali” spiega Kerstin Rosenow, Head of Research and Innovation Unit, DG AGRI.
D’altro canto, sono in corso numerose iniziative tese a riportare (o mantenere) carbonio nel suolo rimuovendolo (o evitando) che finisca in atmosfera, peggiorando quindi la presenza di gas climalteranti. Best practice preziose per individuare soluzioni replicabili su vasta scala.
Il caso Record
Una di queste è RE-CORD, Acronimo di Renewable Energy Consortium for Research and Demonstration. Un ente di ricerca no profit, nato nel 2010 su impulso dell’Università di Firenze e oggi impegnato in diverse attività che spaziano dall’economia circolare alla chimica verde fino alle bioenergie.
“Il lab conta su strumentazioni per circa 2 milioni di euro e qualcosa di più nel reparto impianti dimostrativi. Il fatturato è di circa 1,5 milioni di euro e collaborano al Centro 25 ricercatori. Attualmente è impegnato su 16 progetti, nazionali e internazionali, ed è attivo su 6 progetti Horizon 2020, due dei quali come coordinatore” spiega Andrea Salimbeni, Head of Unit Raw materials & carbon recycling di Record. “Il consorzio sta attualmente lavorando su vari progetti specializzati in trattamenti quali pirolisi, produzione di biocarburanti, e ha acquisito grande esperienza su carbonizzazione idroterma (HTC) e liquefazione idroterma (HTL), importanti per trasformare i rifiuti in energia. Studia, per esempio, come impiegare le alghe tanto quanto l’olio da cucina esausto, sperimentando processi di produzione che valorizzino la lignina quale precursore di carburanti per l’aviazione”.