Solo nei giorni scorsi sono state pubblicate le traduzioni ufficiali della proposta di direttiva sul monitoraggio del suolo, presentata a luglio scorso dalla Commissione Ue. Di conseguenza è stato allungato il periodo per poter fornire a Bruxelles opinioni e pareri. Solo dopo partirà l’iter legislativo
di Emanuele Isonio
Il testo in inglese è disponibile da inizio luglio. Ma, per tradurlo nelle lingue ufficiali di tutti gli Stati dell’Unione è servito tempo. Solo nei giorni scorsi sono apparse sul sito della Commissione Ue le versioni “nazionali” della proposta di direttiva sul monitoraggio del suolo. Un modo per dare la maggiore visibilità possibile ai contenuti del testo e abbattere eventuali barriere linguistiche. Ma anche un passaggio indispensabile per far scattare ufficialmente le 8 settimane di tempo che le norme Ue impongono per raccogliere i commenti al contenuto della proposta. Il termine ultimo per proporre pareri e opinioni, inizialmente fissato al 15 settembre, è stato quindi prorogato al 3 novembre prossimo.
“La fase di ascolto dell’opinione pubblica è una consuetudine quando la Commissione presenta una proposta di provvedimento legislativo” ha spiegato Mirco Barbero, della Direzione generale Ambiente della Commissione Ue intervenuto a Roma all’Agorà dei suoli italiani organizzato da Ispra, Snpa e Crea. “Proprio per stimolare il dibattito in seno ai due organismi – Parlamento europeo e Consiglio dei ministri Ue – che dall’autunno dovranno discutere, emendare ed approvare il contenuto della direttiva, è importante dare ai cittadini europei la possibilità di leggere e comprendere il testo”.
Chi può partecipare?
Alla consultazione si potrà rispondere con un testo della lunghezza massima di 4mila battute. Potranno prendervi parte, previa registrazione e autenticazione, sia i singoli cittadini europei sia associazioni e organizzazioni impegnate a vario titolo sul fronte della tutela ambientale e sullo studio del suolo. Ma potranno esprimere il proprio punto di vista anche organismi tecnici dei diversi enti e istituzioni nazionali o locali.
In ogni caso, la fase di raccolta pareri sul testo di proposta di direttiva è solo l’ultima delle fase di ascolto previste dalle regole comunitarie. Nei mesi e anni scorsi, quando il testo era “in costruzione” da parte degli uffici della Commissione, era stato avviato un dibattito pubblico per comprendere quali fossero gli aspetti più importanti che la norma dovesse contenere. C’era quindi stata prima una richiesta di contributi per raccogliere i diversi punti di vista. Successivamente, un questionario aveva sondato sia la consapevolezza dell’opinione pubblica sul tema-suolo sia quali fossero gli interventi attorno ai quali ci potesse essere il più ampio consenso.
Luci e ombre sulla proposta della Commissione
Il testo ufficiale della proposta di direttiva era arrivato il 5 luglio scorso. E obiettivamente aveva lasciato un po’ di amaro in bocca per la cautela che lo contraddistingue. In particolare tra gli esperti di suolo che, da anni, denunciano il progressivo degrado dei terreni europei (più del 60% è ormai “malato”) e l’urgenza di interventi legislativi per invertire la rotta, intervenendo sia sul consumo di suolo sia sulle altre cause alla base delle diverse forme di depauperamento: dall’agricoltura intensiva, alle scelte agronomiche insostenibili fino all’esigenza di intervenire sui terreni maggiormente contaminati.
D’altro canto, la Commissione, nel proporre quel testo ha tenuto conto di due aspetti. Uno tecnico e l’altro politico. Dal punto di vista tecnico, ci si è resi conto che senza dati certi su cui basare le azioni concrete, si rischia di proporre iniziative inutili. “E – conferma Barbero – i dati attuali non sono sufficienti. Sono sporadici, troppo poco particolareggiati. Poter disporre di dati affidabili permetterà invece ai decisori locali di intervenire in modo efficace”. Da qui spiegato il nuovo “titolo” che la proposta di direttiva ha assunto: da “Soil Health Law” a “Soil Monitoring Law”.
Il precedente affossato nel 2008
Ma il cambio di nome nasconde anche le preoccupazioni politiche in seno alla Commissione. Le elezioni europee sono fissate per la tarda primavera 2024 e quindi il tempo per approvare il testo non è molto. Una direttiva troppo ambiziosa sarebbe anche risultata inevitabilmente troppo divisiva. Il rischio bocciatura (che peraltro esiste anche con il testo attuale) era davvero concreto. Virare su una direttiva tutto sommato “tecnica” – che fissa un criterio comune per definire “sano” un suolo e pone come unico obiettivo vincolante per gli Stati membri di effettuare valutazioni periodiche sulla salute dei propri suoli – rende l’approvazione decisamente più probabile. La speranza è evitare i ritardi e le fibrillazioni che hanno caratterizzato nelle settimane scorse l’iter di approvazione della “Legge sul ripristino della natura“. Ma soprattutto da Bruxelles si vuole evitare di rivivere ciò che accadde 15 anni fa, quando una direttiva suolo fu avanzata dall’allora Commissione Ue guidata dal portoghese Manuel Barroso.
“Quel testo – aveva ricordato Luca Montanarella, storico esponente del Joint Research Center della Commissione Ue, intervistato da Re Soil Foundation – fu affossato dalla netta opposizione della Germania che polarizzò attorno a sé diversi altri Stati dell’Europa centrale e settentrionale fino a creare una minoranza di blocco che di fatto pose il veto sul testo. Dobbiamo renderci conto che il suolo è un tema su cui è sempre molto forte la volontà di controllo degli Stati nazionali”. Una scottatura che tra i tecnici di Bruxelles non ha ancora finito di far male.
I vantaggi economici delle azioni pro suolo
Fra i documenti che i cittadini e le associazioni europee possono consultare prima di redigere e inviare il proprio parere sulla direttiva, c’è anche la Valutazione di impatto che accompagna la proposta della Commissione. I tecnici di Bruxelles hanno analizzato le diverse voci di costo e i vari benefici garantiti dalla gestione sostenibile del suolo europeo, su un arco temporale di 40 anni. Secondo il documento, i benefici connessi con le azioni a contrasto del degrado dei suoli supererebbero i costi di 1,7 volte.
La Commissione ha scelto di realizzare un’analisi di lungo periodo che si estende fino al 2060. Gli impatti garantiti dalle diverse iniziative avrebbero infatti profili temporali variabili. In ogni caso, entro quell’anno, i benefici complessivi associati al mancato degrado e alle sue ricadute è calcolato in 550 miliardi di euro. Ad esse vanno poi aggiunte le ricadute positive associate alla decontaminazione dei siti inquinati, stimate in 230 miliardi di euro. Il totale arriverebbe a quota 780 miliardi.

Il profilo temporale degli impatti. Fonte: European Commission, “Impact Assessment Report. Accompanying the proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on Soil Monitoring and Resilience (Soil Monitoring Law)”. Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
E i costi? La diffusione delle pratiche di gestione sostenibile e l’abbandono di quelle dannose costerebbero 420 miliardi da qui al 2060. Individuare e bonificare i siti contaminati causerebbe poi una spesa di altri 38 miliardi. Totale: 458 miliardi. Oltre 320 miliardi in meno dei benefici. Questi ultimi – sottolineano gli autori della Valutazione d’impatto – sarebbero tra l’altro in territorio positivo (quello nei quale i benefici ottenuti sono superiori ai costi) già alla fine di questo decennio, per poi aumentare sensibilmente nei due decenni successivi e stabilizzarsi da metà secolo.