Luca Montanarella (Joint Research Center UE): “il testo presentato non può che scontentare chiunque studi il suolo e abbia a cuore il suo futuro. Ma è probabilmente l’unico testo che potrebbe essere approvato in questo momento. Troppo alto il rischio di finire come nel 2006”
di Emanuele Isonio
“Che il testo avesse un tenore ben diverso rispetto a quanto ci si aspettava è stato chiaro fin dal suo titolo. Dopo mesi passati ad annunciare una ‘Legge per la salute del suolo’, la Commissione ha presentato una ‘Legge per il monitoraggio del suolo’. Mi sembra un cambiamento che dice molto”. Luca Montanarella, componente del JRC (Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea), vincitore del Glinka World Soil Prize della FAO, una sorta di Nobel per il suolo e per sei anni presidente del Comitato tecnico intergovernativo sui suoli (ITPS). Nelle sue parole, convivono da un lato la delusione di chi sperava che finalmente l’Unione europea potesse dotarsi di uno strumento legislativo vincolante che sviluppasse azioni per raggiungere l’ambizioso obiettivo di riportare in salute tutti i suoli continentali entro il 2050. E dall’altro la consapevolezza che non si può prescindere dai numeri di Parlamento e Consiglio dei ministri Ue, ovvero delle due istituzioni che ora dovranno procedere all’approvazione della proposta illustrata mercoledì scorso dal vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans e dal commissario all’Ambiente, Virginijus Sinkevicius.
Dottor Montanarella, lei ha seguito da vicino l’iter che ha portato alla costruzione della proposta di legge quadro sul suolo. Che giudizio dà del testo presentato?
Chiunque studi il suolo o abbia a cuore la salute degli ecosistemi terrestri, non può che essere deluso. Ma, anche se è doloroso dirlo, devo razionalmente ammettere che quel testo è il meglio che si potesse fare. La Commissione lo ha costruito partendo da una consapevolezza: è probabilmente l’unico che ha la speranza di essere approvato entro la fine di questa legislatura.
È una questione di tempi stretti o di volontà politica?
Entrambi. Il clima politico attuale certamente non è favorevole a scelte ambiziose, ma al tempo stesso difficili da digerire, in favore della tutela dei suoli. E quindi, nonostante tali scelte siano indubbiamente necessarie e urgenti, sono rimaste nel cassetto. Inserirle nella proposta avrebbe significato l’inizio di un rimpallo tra Consiglio e Parlamento, l’apertura di un comitato di conciliazione per trovare un accordo con un insostenibile allungamento dei tempi. E questo avrebbe portato la proposta su un binario morto. C’è poi un’altra motivazione secondo me che ha guidato la Commissione attuale.

La presenza di carbonio organico nel suolo nell’UE – 2015 (g/kg). FONTE: JRC, 2018.
Quale sarebbe?
Sono passati 15 anni ma è ancora vivo il ricordo della fine che fece la proposta di direttiva sul suolo avanzata dall’allora Commissione Barroso. Quel testo fu affossato dalla netta opposizione della Germania che polarizzò attorno a sé diversi altri Stati dell’Europa centrale e settentrionale fino a creare una minoranza di blocco che di fatto pose il veto sul testo. Dobbiamo renderci conto che il suolo è un tema su cui è sempre molto forte la volontà di controllo degli Stati nazionali.
La Commissione attuale ha quindi deciso di costruire un testo che evitasse di cadere in una politicizzazione così forte come accadde all’epoca. Se il dibattito s’incardina nei ragionamenti politici, l’insabbiamento è inevitabile. Al di là dei contenuti veri e propri della proposta.
A proposito di contenuti. Posto che la proposta è al di sotto delle aspettative, ci sono aspetti positivi da valorizzare?
Sicuramente è un passo importante l’obbligo per gli Stati membri di sviluppare un sistema di monitoraggio efficace. Ciò permette infatti di rendersi conto meglio dello stato di salute dei nostri terreni, a partire da quelli agricoli e più preziosi dal punto di vista dello stoccaggio di carbonio. In più apre le porte ai Paesi membri più volenterosi e lungimiranti di implementare la normativa con misure nazionali di cura. Personalmente sono un fautore dei “distretti pedologici” per la salute del suolo che sono previsti nel testo della Commissione.
Spieghiamo meglio che cosa sono questi “distretti pedologici” e perché sono così rilevanti?
Sono degli strumenti molto importanti, mutuati dai “soil conservation districts” statunitensi che sono la base per la tutela del territorio. Negli USA, sono nati quasi 3mila distretti, praticamente uno per contea. In essi si lavora a stretto contatto con i proprietari per conservare e promuovere la salubrità dei suoli, delle acque, delle foreste e della fauna selvatica. I distretti sono diventati essenziali per sviluppare soluzioni guidate a livello locale per i problemi delle risorse naturali. I distretti ipotizzati nella direttiva Ue saranno centrali per garantire che sia effettuato un monitoraggio regolare della salute del suolo. E la Commissione Ue offrirà un contributo economico e di competenze per sostenere gli sforzi degli Stati membri nelle attività di monitoraggio e reporting.
Mi perdoni: le attività di monitoraggio e la creazione di questi distretti saranno obbligatori per i diversi Stati. Ma al di là di questo, c’è qualche obiettivo vincolante per invertire la rotta che ha portato attualmente ad avere oltre il 60% dei suoli colpiti da una qualche forma di degrado?
No. Quella è l’unica azione vincolante. Per il resto non c’è nulla di obbligatorio. Avevamo proposto di creare l’obbligo di prevedere un certificato di salute del suolo da allegare alle compravendite di terreni, mutuandolo da quanto si fa con la certificazione energetica degli appartamenti. Avrebbe agevolato l’avvio di uno straordinario lavoro di misura dei terreni. Ma non siamo riusciti a vederla accolta.
Nel testo della proposta si indica un arco temporale di 5 anni entro da dedicare al monitoraggio. E’ un tempo congruo?
Fortunamente il suolo cambia molto lentamente. E quindi prendersi un quinquennio per le misurazioni è ragionevole. Certo ora si apre una discussione, più tecnica che politica.
Ovvero?
Che cosa misuriamo? Quali parametri consideriamo per definire un suolo in salute? La proposta demanda questo compito a un comitato di rappresentanti degli Stati membri. Il rischio è avviare una discussione infinita che dilazioni ulteriormente i tempi di monitoraggio.
Adesso si apre il percorso di approvazione parlamentare: che cosa è lecito aspettarsi? Ci sono margini per inserire miglioramenti al testo, colmare le lacune? Oppure è più probabile un ulteriore annacquamento o addirittura un insabbiamento prima delle elezioni europee del giugno 2024?
Su questo è difficile esprimere una previsione: se si tiene un atteggiamento low profile, visto che si tratta di una direttiva tutto sommato “tecnica” dedicata a mere attività di monitoraggio del suolo, si potrebbe arrivare all’approvazione nei tempi consentiti. Se invece si costruisce su di essa una battaglia politica da parte di qualche fazione allora è probabile un nulla di fatto.
E chi potrebbe avere interesse a politicizzare questo dibattito sulla salute del suolo?
Lo ripeto: il suolo è da sempre un grande elemento costitutivo dell’identità nazionale. Potrebbe quindi essere cavalcato dai movimenti populisti di qualche Stato membro. O, al contrario, i settori più progressisti e sensibili ai temi ecologici potrebbero esigere emendamenti migliorativi al testo rifiutandosi altrimenti di approvarlo. Anche questa potrebbe essere una scelta premiante agli occhi dei loro elettori. In ogni caso, il suolo potrebbe nuovamente essere il grande sconfitto da tutto questo.