Lo stralcio dell’intesa sulla tutela degli alberi tra Oslo e Jakarta mette a rischio l’impegno dell’Indonesia. Che, nel XXI secolo, ha già perso quasi 10 milioni di ettari di foreste primarie
di Matteo Cavallito
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Tra Indonesia e Norvegia è ufficialmente divorzio. A sorpresa, nelle scorse settimane, il governo di Jakarta ha annunciato la rottura dell’intesa pluriennale destinata a incentivare la lotta alla deforestazione. L’accordo impegnava Oslo a retribuire la nazione asiatica per i suoi sforzi in campo ambientale. Ma le incomprensioni e le discussioni, evidentemente, hanno finito per prevalere. “La decisione si basa anche sulla mancanza di progressi concreti in merito all’esecuzione dell’impegno della Norvegia nell’effettuare i pagamenti legati ai risultati a seguito del successo ottenuto dall’Indonesia nel ridurre di 11,2 milioni di tonnellate le proprie emissioni di CO2 nel periodo 2016/17 ”, si legge in una nota del governo. La scelta fatta, assicurano però le autorità indonesiane, “non intaccherà in alcun modo l’impegno dell’esecutivo nel taglio delle emissioni stesse”.
Un accordo da 1 miliardo di dollari
Fissato nel 2010 e inserito nel meccanismo REDD+ delle Nazioni Unite, l’accordo impegnava la Norvegia a finanziare con una cifra complessiva pari a un miliardo di dollari gli sforzi dell’Indonesia nella mitigazione climatica. “Le politiche di riforma e le iniziative di controllo intraprese dall’Indonesia hanno iniziato a portare i loro frutti”, aveva dichiarato il 27 maggio 2020 l’ambasciatore di Oslo, Vegard Kaale. “Sono molto felice di affermare che in 10 anni di collaborazione abbiamo potuto constatare un calo della deforestazione”. Le ragioni del successivo stralcio non sono del tutto chiare. Secondo i piani, Jakarta avrebbe dovuto ricevere a breve una prima tranche da 56 milioni.
L’Indonesia ha perso il 10% delle sue foreste primarie
La fine dell’intesa suscita ora una certa preoccupazione tra gli ambientalisti. “Lo stop all’accordo equivale a un allentamento dei controlli sul disboscamento”, ha dichiarato Kiki Taufik, direttore della campagna di conservazione forestale di Greenpeace in Indonesia, definendo “discutibile” l’impegno del governo. Quel che è certo è che lo sfruttamento delle risorse che ha accompagnato la forte crescita economica del Paese negli ultimi 20 anni ha prodotto danni significativi. Tra il 2002 e il 2020, dicono le stime di Global Forest Watch, un progetto dell’organizzazione no profit World Resources Institute di Washington, l’Indonesia ha perso 9,75 milioni di ettari di foresta primaria, pari al 10% circa del totale.
Olio di palma nel mirino
Ad alimentare il fenomeno, come noto, è stato il boom dell’olio di palma. La sua attività estrattiva si estende ad oggi per 13,3 milioni di ettari nel Paese, mettendo a rischio la sopravvivenza di uno degli ecosistemi più ricchi di biodiversità del Pianeta. La nazione asiatica, rileva infatti Greenpeace, ospita la terza foresta tropicale più grande del mondo (dopo l’Amazzonia e il Bacino del fiume Congo) oltre a una quota compresa tra il 10 e il 15% “di tutte le specie conosciute di piante, mammiferi e uccelli del Pianeta”.
Queste foreste, nota ancora l’organizzazione ambientalista, “sequestrano quasi 300 milioni di tonnellate di carbonio”. Pari a “40 volte l’ammontare delle emissioni annuali generate dal consumo delle fonti fossili”. Le zone soggette a deforestazione perdono la capacità di sequestrare il carbonio e vanno incontro a frequenti incendi. Il fenomeno, nota ancora Greenpeace, “ha reso l’Indonesia uno dei principali emittenti di gas serra nel mondo insieme agli Stati Uniti e alla Cina”.
Futuro incerto
Interpellato dal portale Climate Home News, Tørris Jæger, direttore dell’associazione Rainforest Foundation Norway, ha dichiarato che i negoziati sulle modalità di pagamento tra Oslo e Jakarta erano stati difficili per via di alcuni disaccordi sulle condizioni di esborso. Lo stralcio dell’intesa, ha aggiunto, non rappresenta “un segnale di ripresa intenzionale della deforestazione”. La speranza insomma è che lo strappo si possa ricomporre a differenza di quanto accaduto con il Brasile, la cui controversa politica forestale ha indotto la Germania e la stessa Norvegia a bloccare i propri finanziamenti al Fondo per la tutela dell’Amazzonia promosso dal governo di Jair Bolsonaro.
I dubbi sull’efficacia dei meccanismi di retribuzione, in ogni caso, restano. “Nell’ultimo decennio – rileva Euronews – centinaia di progetti sono apparsi in tutto il mondo nell’ambito dello schema REDD+. Ma le iniziative sono state oggetto di controversie. Secondo gli ambientalisti, i progetti realizzati in Paesi come Cambogia, Perù e Repubblica Democratica del Congo non sono riusciti a coinvolgere le comunità locali”. Né a generare “i benefici attesi”.