27 Agosto 2021

Un’applicazione per il telefono e l’uso dei droni hanno consentito a 80 comunità native dell’Amazzonia peruviana di difendere efficacemente le proprie terre. Una nuova speranza per le popolazioni originarie di tutto il mondo

di Matteo Cavallito

 

Ascolta “Smartphone e droni: così le comunità indigene combattono la deforestazione” su Spreaker.

L’uso di droni e di smartphone in grado di elaborare dati satellitari consente alle comunità indigene di monitorare efficacemente i propri territori limitando in modo considerevole la deforestazione. Lo segnala uno studio pubblicato di recente sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). L’indagine ha preso in considerazione i dati raccolti nello spazio di tre anni evidenziando così gli ottimi risultati raggiunti dall’iniziativa. Lanciato nel 2018, il programma di monitoraggio ha coinvolto tre organizzazioni non governative: la Rainforest Foundation US, il World Resources Institute (WRI) e ORPIO un’associazione che opera in 15 bacini fluviali dell’Amazzonia peruviana.

Le operazioni di controllo condotte da quasi 80 comunità native della regione di Loreto, nel Perù settentrionale, hanno permesso di dimezzare il disboscamento illegale nello spazio di un anno. Il risultato potrebbe ispirare altre iniziative analoghe in differenti aree del Pianeta.

Droni, satelliti e smartphone al servizio delle comunità

L’attività si è svolta in un’area composta da 76 villaggi abitati da altrettante diverse comunità. 37 hanno svolto il ruolo di gruppo di controllo, le restanti 39 hanno partecipato al programma di monitoraggio basato sull’impiego di droni e smartphone. Grazie alle immagini satellitari che registrano i cambiamenti nella copertura forestale – spiega una nota di Rainforest Foundation – il sistema, basato su un algoritmo sviluppato dall’Università del Maryland, si è appoggiato alla piattaforma online Global Forest Watch e alla sua applicazione mobile Forest Watcher.

Gli esperti di tecnologia al lavoro in un centro dati regionale – prosegue la nota – “hanno raccolto regolarmente le segnalazioni di sospetta deforestazione, comprese le foto satellitari e le informazioni GPS. Una volta al mese, i corrieri navigavano il Rio delle Amazzoni e i suoi affluenti per consegnare le chiavette USB con le informazioni ai villaggi”. I membri delle comunità hanno scaricato regolarmente le informazioni sui loro telefoni e hanno utilizzato i droni per un’esplorazione sul campo per poi decidere in assemblea il da farsi. In alcuni casi, i residenti si sono recati sul posto invitando gli intrusi ad andarsene. Di fronte alle situazioni potenzialmente più pericolose che coinvolgevano i trafficanti droga, le prove sono state presentate direttamente alle forze di polizia. Con risultati eccellenti.

Deforestazione dimezzata nel primo anno

I numeri, del resto, parlano chiaro. Tra il marzo 2018 e il febbraio 2020, riferisce la Reuters, le comunità incaricate di monitorare la presenza di eventuali estranei hanno salvato dal disboscamento 8,4 ettari in più rispetto alle loro omologhe del gruppo di controllo. Nel primo anno, in particolare, le aree sotto osservazione hanno registrato un calo del 52% nella deforestazione. Il secondo anno la percentuale rilevata è stata del 21%. “Queste riduzioni – spiega la Rainforest Foundation – erano concentrate nelle comunità che affrontavano le minacce più immediate”. Tra cui l’estrazione illegale dell’oro, il disboscamento e la coltivazione delle piante di coca.

Il programma, insomma, ha evidenziato ancora una volta come la tecnologia – inclusa quella satellitare – possa rappresentare un aiuto concreto nelle iniziative di tutela del suolo. “Raramente, in passato, gli avvisi di deforestazione giungevano fino alle comunità remote della foresta pluviale, che non hanno un accesso affidabile a internet” aggiunge l’organizzazione USA. “Gli abitanti dei villaggi non sapevano che gli intrusi stavano disboscando la loro terra e non avevano la possibilità di fermarli”.

Un esempio per altri

Lo studio condotto in Perù rientra in un programma più vasto che coinvolge anche le comunità di altri cinque Paesi: Brasile, Cina, Costa Rica, Liberia e Uganda. Un secondo studio pubblicato su PNAS conferma come il monitoraggio territoriale abbia ridotto ovunque lo sfruttamento illecito delle risorse. I ricercatori sperano ora che i buoni esiti delle sperimentazioni possano ispirare nuove iniziative di tutela su vasta scala. Con evidenti implicazioni sul fronte della lotta al cambiamento climatico.

La ricerca evidenzia infatti che le foreste situate nelle terre dei popoli indigeni di tutto il mondo contengono 37,7 miliardi di tonnellate di carbonio. Ovvero 29 volte le emissioni annuali di tutti i veicoli passeggeri nel mondo. Nel biennio di studio, le comunità hanno impedito la distruzione di circa 456 ettari di foresta pluviale. Con un risparmio stimato di oltre 234.000 tonnellate di emissioni di CO2.

Nelle aree delle comunità si può fermare un quinto delle deforestazione

Dal 2000 al 2015 – ricorda ancora la Rainforest Foundation – “il 17% della deforestazione in Amazzonia si è verificata in aree nazionali protette o in territori assegnati dai registri ai popoli indigeni”. Mentre “l’83% è avvenuto in sezioni della stessa foresta che non sono né sotto il controllo delle comunità locali né sotto la protezione del governo”.

“Se non cambia nulla, nel prossimo decennio le popolazioni indigene dell’Amazzonia perderanno 4,4 milioni di ettari di foresta pluviale”, sostiene Cameron Ellis, geografo senior della Rainforest Foundation. “Ma se la metodologia di monitoraggio potesse essere ampiamente adottata e la governance locale rafforzata” ha aggiunto, “la perdita potrebbe essere ridotta fino al 20%. Le stime ipotizzano il salvataggio potenziale di 415mila dei 2,2 milioni di ettari di foresta pluviale brasiliana nelle aree dove risiedono i popoli originari. Per il Perù si parla di 186mila ettari su un totale di circa mezzo milione.