24 Maggio 2022

Tra il 2002 e il 2021, l’area protetta nel sud-ovest della Nigeria ha perso il 45% della sua foresta primaria. Determinante il peso degli incendi. Sul fenomeno incidono fattori socioeconomici e demografici

di Matteo Cavallito

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Il futuro della foresta di Akure-Ofosu, una delle principali riserve naturali della Nigeria, è a forte rischio. Lo suggeriscono gli ultimi dati diffusi dalla Ong americana Mongabay, che cita a sua volta le cifre del progetto Global Forest Watch, un’iniziativa di monitoraggio promossa dall’organizzazione non profit statunitense World Resources Institute. Tra il 2002 e il 2021, infatti, l’area ha perso il 45% della sua foresta primaria, una delle ultime nel suo genere presenti nel Paese.

“I dati satellitari della NASA fanno pensare che gli incendi possano essere stati la causa principale della scomparsa di gran parte delle foreste di Akure-Ofosu”, scrive Mongabay. “Le informazioni dell’Agenzia Spaziale americana mostrano un picco di attività del fuoco nella riserva alla fine di gennaio, che ha portato alla distruzione di 5mila ettari di terreno – un numero superiore a quello degli anni passati”.

Gli incendi e la disoccupazione minacciano la foresta

Nel corso del XXI secolo, segnala ancora Global Forest Watch, l’area forestale di Akure-Ofosu ha visto sparire 14.800 ettari di copertura arborea. Determinante il peso degli incendi dolosi, “spesso utilizzati per creare disponibilità di terra agricola in Nigeria e in altre regioni nelle aree tropicali”.

Secondo Orji Sunday, un collaboratore di Mongabay, ad incidere sul fenomeno, però, sono anche altri fattori socioeconomici a cominciare dalla disoccupazione.

“Le piantagioni di cacao nelle riserve si stanno espandendo”, dichiara un agricoltore locale alla Ong USA. “Nelle città non c’è lavoro. Così molti diplomati e laureati, stanchi di cercare, stanno prendendo possesso delle riserve”.

La Nigeria ha perso oltre 1 milione di ettari in vent’anni

Quello della riserva naturale, situata nel sud-ovest del Paese, non è comunque un caso isolato. In Nigeria, infatti, la deforestazione è in crescita da almeno due decenni. Sempre secondo le stime di Global Forest Watch, infatti, dall’inizio del XXI secolo la Nigeria ha perso oltre un milione di ettari di foreste naturali, pari al 10% della copertura arborea. Il conto comprende 141mila ettari di foreste primarie e implica emissioni aggiuntive per 527 milioni di tonnellate di CO2.

La povertà è un fattore cruciale

La domanda di sfruttamento delle risorse naturali, sottolinea Mongabay, è alimentata anche dalla persistente povertà che caratterizza il Paese. Secondo le stime della World Bank, nel 2019 il fenomeno caratterizzava 80 milioni di nigeriani, pari al 40% circa della popolazione. L’impatto del Covid, sostiene la stessa istituzione, avrebbe fatto aumentare la cifra di 5 milioni di unità. Con ovvie conseguenze collaterali per l’ambiente.

“La conservazione delle foreste non potrà mai prosperare in queste condizioni”, ha spiegato a Mongabay Babafemi Ogunjemite, professore di primatologia alla Federal University of Technology di Akure. “Il livello di povertà è così alto che chiunque è disposto a sacrificare qualsiasi cosa per il cibo, compresa la foresta”.

In questo contesto il Governo ha scelto di allentare la stretta sulla tutela forestale permettendo negli anni agli agricoltori di rivendicare parte dei territori della riserva. Fonti vicine alla questione hanno riferito alla Ong americana che i coltivatori possono insediarsi nei territori protetti pagando una tassa annuale di 10mila naira, circa 24 dollari al cambio attuale. La autorità classificano questi operatori come “occupanti temporanei” anche se la loro presenza è di fatto permanente.

L’effetto del boom demografico

A questo, infine, si aggiunge l’enorme pressione demografica che agisce sul Paese. Dal 1950 ad oggi, secondo i dati dell’ONU, la popolazione nigeriana è passata da meno di 37 a 216 milioni di abitanti.

“La creazione di posti di lavoro tuttavia non è andata di pari passo, costringendo le persone a scegliere tra le foreste e le loro famiglie”, rileva Mongabay. Questa espansione ha prodotto una forte crescita dell’allevamento e dell’agricoltura con un evidente impatto sullo sfruttamento delle risorse.

La ricerca dello spazio vitale, come noto, ha alimentato negli anni anche un conflitto sanguinoso tra pastori e agricoltori. Che, secondo le stime di Amnesty International avrebbe prodotto oltre 3.600 morti tra il gennaio 2016 e l’ottobre 2018, la data in cui si sono interrotte le rilevazioni. Il governo federale ha provato a risolvere la questione proponendo l’istituzione di colonie ad hoc destinate al pascolo. Un’ipotesi che incontra però molte resistenze di fronte al timore che gli allevatori possano approfittare della situazione per accaparrarsi in via definitiva la terra.