16 Febbraio 2021

Il degrado del terreno minaccia la Nigeria creando le condizioni per un sanguinoso conflitto tra pastori e agricoltori. Con il land grabbing sullo sfondo

di Matteo Cavallito

 

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Uno scontro per la sopravvivenza, una guerra tra poveri, un conflitto religioso: accade in Nigeria sotto il peso di molti elementi diversi. Agricoltori contro pastori, contrapposizione alimentata da una crescente scarsità di risorse. La ricerca di spazio vitale diventa spasmodica mentre l’incremento demografico e l’espansione dell’allevamento creano le condizioni per il progressivo degrado del suolo. Il bilancio? Più di 3.600 morti secondo Amnesty International anche se la cifra dovrà essere certamente aggiornata al rialzo visto che il conteggio, avviato nel gennaio 2016, si ferma all’ottobre 2018. Una tragedia, insomma, alla quale il governo centrale non sembra in grado di porre rimedio. Ma anche un monito. Perché quel che accade nel più grande Paese dell’Africa potrebbe ripetersi altrove sotto il peso del principale fattore di crisi: il cambiamento climatico, ovviamente.

Il suolo della Nigeria è sempre più arido

“Le stagioni secche si stanno allungando, quelle piovose si accorciano” ha spiegato di recente Robert Muggah, politologo canadese e noto esperto di conflitti al Financial Times. Il risultato è che i pastori dell’etnia Fulani, prevalentemente musulmani, sono stati indotti a dirigersi sempre più a sud alla ricerca di terra risparmiata dalla siccità scontrandosi con gli agricoltori, in buona parte cristiani. Morale: la contrapposizione religiosa ha agito come benzina sul fuoco alimentando una tensione generata in primo luogo dagli effetti del riscaldamento globale. “Negli ultimi due decenni, la crisi climatica ha contribuito ad alterare il vecchio ordine basato su accordi amichevoli trasformando quest’ultimo in uno scontro segnato da saccheggi, incursioni, furto di bestiame e uccisioni premeditateha scritto il Guardian.

In un continente chiamato a rigenerare 8 milioni di ettari all’anno da qui al 2030 per contrastare la desertificazione, la Nigeria vive un persistente problema di degrado. Nel primo decennio del secolo, nota un rapporto ONU del 2018, il Paese ha perso quasi mezzo milione di ettari di foreste con inevitabili ricadute in termini di stoccaggio della CO2 e un conseguente aumento – 1,3 milioni di tonnellate in più – delle emissioni nell’atmosfera.

Il fattore demografico

A tutto questo contribuiscono i numeri dell’espansione demografica. La popolazione nigeriana cresce a ritmo sostenuto da anni e viaggia attualmente a quota 200 milioni. A questo ritmo, si stima, il numero degli abitanti potrebbe raddoppiare entro la metà del secolo. Ad aumentare però è anche il bestiame che oggi, rileva ancora il Guardian, ammonta a 20 milioni di capi contro i 9,2 del 1981. La ricerca di terreno da destinare al pascolo impatta inevitabilmente sul suolo secondo una dinamica ben nota che si accompagna allo sviluppo del settore dell’allevamento. Nell’affare, prosegue il Guardian, sarebbe entrato anche il gruppo terroristico Boko Haram, accusato di finanziare le sue operazioni anche attraverso il furto e la successiva rivendita di esemplari d’allevamento.

Rischio land grabbing

Il governo federale ha provato a risolvere la questione proponendo l’istituzione di colonie ad hoc destinate al pascolo. Un’ipotesi che incontra tuttora molte resistenze di fronte al timore che gli allevatori possano approfittare della situazione per accaparrarsi la terra in via definitiva secondo la celebre logica del land grabbing. Il rischio di un’esasperazione della crisi con gravi effetti diffusi resta insomma più vivo che mai. Un monito implicito per tutti quei Paesi, dall’Africa al Sudamerica in particolare, che vivono quel conflitto permanente tra agricoltura e allevamento intensivo. Pagando un prezzo enorme in termini di deforestazione. E non solo.