L’operazione Artemide, lanciata dal governo colombiano per combattere la deforestazione, ha portato al ripristino del controllo su una quota minima delle aree colpite, sostengono le Ong Mongabay e Cuestión Pública. E non mancano le denunce di soprusi alle comunità indigene
di Matteo Cavallito
Lanciata nel 2019 dal governo colombiano per contrastare la deforestazione, l’Operación Artemisa (Operazione Artemide) avrebbe prodotto risultati estremamente insoddisfacenti. Alimentando, inoltre, critiche significative in merito al trattamento riservato alle popolazioni native presenti nelle aree protette. Lo sostengono la filiale latinoamericana della Ong statunitense Mongabay e l’associazione Cuestión Pública evidenziando come l’iniziativa assunta al tempo dall’ex presidente Iván Duque abbia avuto un impatto trascurabile nella protezione dei territori.
“Se si guarda ai tassi di deforestazione, la perdita di aree boschive non è diminuita bensì aumentata”, ha ammesso l’ex ministro dell’Ambiente di Bogotá, Manuel Rodríguez Becerra. Da questo punto di vista”, ha aggiunto, “l’Operazione Artemide è stata un fallimento”. Un giudizio, quest’ultimo, condiviso dalle associazioni che ricordano come la perdita annuale di territorio boschivo sia passata dai quasi 159mila ettari del 2019 agli oltre 174mila del 2021.
Il ripristino ha interessato solo il 3% dell’area colpita
Gli attivisti osservano come tra il 2019 e il 2022 l’iniziativa si sia tradotta in una ventina di operazioni militari condotte quasi esclusivamente nei parchi naturali nazionali e nelle aree di riserva forestale dell’Amazzonia colombiana, in particolare nei dipartimenti di Guaviare, Meta, Caquetá, Putumayo e Amazonas. Nel giugno dello scorso anno, tracciando un bilancio complessivo, il governo aveva affermato di aver sottratto alla deforestazione illegale circa 27mila ettari.
“Questi risultati”, scrive Mongabay, “hanno interessato solo il 3% dell’area disboscata nel Paese tra il 2019 e il 2021. Secondo i dati dell’Istituto di idrologia, meteorologia e studi ambientali di Bogotá, in quel periodo la Colombia ha perso 504.682 ettari di foreste”.
L’Operazione Artemide, inoltre, ha portato all’arresto di 113 persone e a 13 condanne pronunciate in seguito dai tribunali. I provvedimenti, sostengono però gli attivisti, avrebbero riguardato soprattutto alcuni residenti dei territori. Individui, cioè, in gran parte estranei alle logiche di sfruttamento dei veri responsabili della deforestazione. Secondo Rodrigo Botero Garcia, direttore della Fondazione per la conservazione e lo sviluppo sostenibile (FCDS), “i militari avrebbero colpito gli anelli deboli della catena senza riuscire a riprendere il controllo delle terre disboscate dai grandi accaparratori che, a loro volta, sarebbero rimasti impuniti”.
Attacco alle comunità locali
Non sorprende, in questo senso, che gli attivisti abbiano denunciato soprusi ai danni delle comunità locali. L’organizzazione Dejusticia, in particolare, ha parlato apertamente di “violazioni dei diritti umani” chiedendo alla Corte Suprema di Giustizia colombiana di intervenire sulla questione. “Considerando le varie opzioni disponibili nel contrasto alla deforestazione e giudicando il trattamento militare e penale riservato dallo stato alle comunità che oggi abitano i parchi nazionali”, ha dichiarato la Ong, “Artemide si è rivelata un’operazione contro i contadini, ingiusta e inutile”.
Sul tema è intervenuto anche Carlos Castaño, leader comunitario della Zona de Reserva Campesina di Losada, situata nei pressi dei dipartimenti di Meta e Caquetá, nell’area centrale del Paese. Le autorità, spiega, “hanno emesso mandati di arresto ponendo poi le persone catturate di fronte alla scelta di andare in prigione o di essere allontanate dal territorio“. Gli arrestati, ha aggiunto, hanno accettato di lasciare il territorio pur di non finire in carcere.
Le comunità indigene baluardo contro la deforestazione
In contrasto con la strategia del governo, ricorda l’organizzazione, la cooperazione tra le autorità e le comunità locali potrebbe garantire un’efficace protezione dei territori. L’idea non è nuova. Alla fine del 2021, una ricerca dell’Università di Shieffield, ha evidenziato come nel mondo le aree gestite dai popoli indigeni sperimentino un minor tasso di deforestazione nel confronto con le altre distese tropicali.
L’indagine, pubblicata sulla rivista Nature, si è concentrata su diversi territori in Asia, America Latina e Africa dove l’opera di conservazione delle comunità native si è rivelata, nel complesso, non meno efficace di quella delle autorità preposte al controllo delle zone poste sotto protezione.
Utilizzando i dati satellitari e confrontando aree simili per caratteristiche morfologiche e geografiche, i ricercatori hanno potuto raccogliere dati inequivocabili. Nelle zone sotto il controllo delle popolazioni native, infatti, si registrava una minore deforestazione. Con una riduzione compresa tra il 17% e il 26% rispetto alla media globale registrata nelle altre aree.