14 Aprile 2022

Non si ferma in Honduras la deforestazione ad opera dei narcotrafficanti. Il fenomeno colpisce l’intera America Centrale. Ma a favorire la distruzione dei territori, dicono le comunità indigene, non è solo il traffico il droga

di Matteo Cavallito

 

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Ci sono anche le attività dei narcos dietro alla deforestazione che colpisce l’Honduras. È l’allarme lanciato dalla rivista Diálogo Americas citando gli ultimi dati diffusi dall’Istituto nazionale per la conservazione delle foreste, l’ICF. Nel 2021, in particolare, “816 incendi dolosi hanno distrutto più di 90mila ettari di foresta per consentire la coltivazione illegale e altre attività”. Tra queste anche l’allevamento, una pratica utilizzata a scopo di riciclaggio.

Parte di questa distruzione, si legge ancora, sarebbe stata opera degli stessi trafficanti che “abbattono le piante per costruire piste di atterraggio clandestine e laboratori per la preparazione della droga” secondo quanto riferito da un testimone della comunità indigena della regione di La Mosquitia, una delle aree più colpite dal fenomeno. La zona, ricorda la rivista, comprende in particolare due distese forestali protette che si estendono per complessivi 8mila chilometri quadrati.  Ospitando decine di migliaia di nativi e “al pari di centinaia di specie animali e vegetali a rischio estinzione”.

Le piantagioni di coca hanno devastato 140 ettari in due anni

Secondo i dati resi noti dall’agenzia di stampa spagnola EFE e dall’organizzazione ambientalista americana Mongabay, citate entrambe da Diálogo Americas, lo scorso anno la autorità honduregne avrebbero eradicato 525mila piante di coca distruggendo 8 laboratori per la produzione di droga. Tra il 2020 e il 2021, secondo i resoconti, i narcos avrebbero distrutto 140 ettari di foresta per lasciare spazio alle colture illegali.

“Con l’obiettivo di coltivare marijuana o piante di coca”, sottolinea la rivista, “i trafficanti non abbattono direttamente la vegetazione ma preferiscono appiccare incendi, distruggendo così la flora e la fauna nell’area”.

Secondo le stime la coltivazione di 20mila piante per la produzione di droga implica in proporzione l’eliminazione di 2 ettari foresta. Le autorità hanno risposto avviando un programma di ripristino in collaborazione con lo stesso Istituto di Conservazione Forestale. Lo scorso anno le operazioni hanno interessato oltre 4.100 ettari con l’impianto di 2,5 milioni di semi.

I Narcos sono responsabili del 30% della deforestazione in Centro America

Il contributo dei narcos alla deforestazione è noto da anni. “Il traffico di droga è diventato una delle principali cause della deforestazione in America Centrale dopo che le rotte per il trasporto sono state aperte in tutta la regione”, aveva dichiarato nel 2018 Bernardo Aguilar, direttore dell’organizzazione costaricana Fundación Neotrópica, ripreso dalla Reuters.

La stessa agenzia di stampa citava inoltre uno studio pubblicato l’anno precedente sulla rivista Environmental Research Letters, secondo il quale il traffico di cocaina sarebbe stato responsabile del 30% della distruzione delle foreste in Honduras, Guatemala e Nicaragua.

L’America Centrale, notava ancora Aguilar, rappresenta solo il 2% delle terre emerse del Pianeta ma conserva al suo interno il 12% della biodiversità globale. Tra il 2006 e il 2011, la riserva del Rio Plátano, nel cuore della stessa regione honduregna di La Mosquitia, avrebbe perso 39 mila ettari di foresta.

Ma le responsabilità non sono solo del narcotraffico

A contribuire alla distruzione della foresta, in ogni caso, sono tanti fattori diversi. Accanto ai narcos, infatti, si collocano gli operatori del mercato illegale del legname che, dicono le stime, favorirebbe un giro d’affari compreso tra i 60 e gli 80 milioni di dollari all’anno. A questo si aggiungono le attività delle imprese lecite il cui impatto suscita la dura reazione delle comunità native locali. Interpellata da Mongabay, l’associazione Moskitia Asla Takanka (MASTA) che rappresenta i residenti originari delle terre, ha puntato il dito contro l’intromissione delle autorità statali nella gestione dell’area.

L’intervento di queste ultime, secondo MASTA, avrebbe “aperto la porta allo sfruttamento del territorio da parte delle aziende private condannando i suoi abitanti alla povertà estrema”.

L’organizzazione avrebbe chiesto al governo di affidare alle comunità locali il compito di gestire il ripristino della foresta. Una proposta che sembra ricalcare iniziative analoghe già sperimentate con successo in diverse aree del Pianeta. Ma che, secondo quanto dichiarato dalle comunità, non avrebbe avuto seguito.