La proposta di Igor Boni (presidente Radicali Italiani): “L’assenza di una norma sul suolo è una lacuna da colmare subito. Introdurre sistemi di compensazione può aiutare a preservare terreni vergini e recuperare aree degradate”
di Emanuele Isonio
Crisi climatica, esigenza di contenere l’aumento delle temperature e di rispettare gli accordi di Parigi, transizione ecologica, decarbonizzazione. Mai come ora, anche grazie alle risorse del PNRR, sembra esserci una congiuntura astrale ideale per la rivoluzione verde. E in questo processo di rinnovamento, dovrà trovare spazio anche una maggiore attenzione al tema della salute del suolo. Ma per dare concretezza a questa rivoluzione serviranno le norme giuste.
“Sul suolo, molti Stati hanno norme a tutela del suolo, che ne identificano ruolo, funzioni e fissano le azioni per proteggere i servizi ecosistemici che esso fornisce. L’Italia, per una derivazione probabilmente post-fascista, quando parla del suolo ancora si limita a considerarlo nel senso del paesaggio, delle infrastrutture, dei centri urbani. Non esiste invece una legislazione ad hoc a favore del suolo. E accanto ad essa serve inoltre una legge sul clima che fissi obiettivi concreti perseguibili nei prossimi 30 anni”. La proposta è di Igor Boni, esperto di tematiche ambientali e presidente dei Radicali Italiani, partito che ha avviato la campagna #AiutaIlSuolo.
Dottor Boni, siamo effettivamente alle porte di una rivoluzione verde?
Questa rivoluzione serve innanzitutto all’umanità. Sarà un percorso lungo che dovrà cambiare le nostre abitudini. Questa congiuntura può darci la spinta per affrontarla in modo serio. E questo non significa trovare la chiave per risolvere il problema. Significa invece individuare i moltissimi provvedimenti per trasformare l’enorme consumo energetico di questi due secoli. Ricordiamoci che in duecento anni abbiamo consumato l’energia che si è accumulata in 4-5 miliardi nel Pianeta Terra.
Anche solo per autoprogettersi, prima o poi dobbiamo cambiare. Se troviamo le alternative, diamo una possibilità di benessere alla popolazione. In caso contrario, le future generazioni dovranno affrontare una carenza energetica che inevitabilmente produrrà crisi inimmaginabili dal punto di vista sociale, democratico, demografico, politico, economico. Speriamo davvero che questa crisi sia l’occasione di cambiamento che invochiamo da decenni.

L’andamento del consumo di energia mondiale tra il 1830 e il 2010. FONTE: Tverberg 2012; Smil 2010 e BP Statistical Data since 1965.
L’Italia ha molto da perdere se non coglierà questa occasione. Ci stiamo muovendo nella direzione giusta?
Con il PNRR abbiamo bruciato tappe e prodotto un documento in tempi assai rapidi, apprezzato anche a livello europeo. Quel documento, per forza di cose, è stato ovviamente prodotto in fretta senza un dibattito che sarebbe stato necessario. Non c’era possibilità alternativa, purtroppo. Ora abbiamo molto denaro per trasformare il nostro Paese. Dobbiamo usarlo al meglio ma soprattutto dobbiamo smettere di fare passi avanti solo quando ce lo impongono gli altri. L’Italia dal punto di vista ambientale ha indubbiamente fatto progressi sulla qualità dell’aria e dell’acqua. Ma quei passi avanti sono stati obbligati da direttive europee.
Su molti aspetti, ad esempio sul tema del suolo, i progressi non sono stati fatti proprio perché mancano direttive sovraordinate rispetto alla legislazione nazionale. Il salto culturale è proprio quello: dobbiamo fare passi avanti autonomamente perché ci conviene.
Sabato scorso avete organizzato una convention sul Futuro del Pianeta dal nome molto significativo: hic et nunc. Che cosa è emerso dall’evento? Quali sono gli interventi indispensabili da intraprendere secondo voi?
Ragionerei su tre livelli differenti: il primo è un livello locale. Abbiamo molti territori in cui ci sono situazioni drammatiche. Alla nostra convention hanno partecipato esponenti di gruppi locali come quelli che da anni si battono per la bonifica del fiume Sarno, il corso d’acqua più inquinato d’Europa. A quel livello, servono interventi puntuali per risolvere emergenze che ci portiamo avanti da decenni.
Esiste poi un piano nazionale che può permettere di far fare passi avanti al Paese. Poi però bisogna ricordarci sempre che l’Italia è responsabile dell’1% delle emissioni globali del Pianeta. Questo non per sottrarci alle nostre responsabilità, ognuno a casa propria deve fare la propria parte. Ma è per dire che serve un ragionamento transnazionale. Da Radicali lo portiamo avanti dagli Anni ’80. Tutte le politiche devono essere affrontare in modo transnazionale perché non esistono più confini nazionali entro i quali poter fare riforme. Dal clima, alla sanità alla difesa al welfare. Sul clima serve un approccio almeno europeo.
A proposito di suolo, voi avete lanciato una campagna ad hoc. E detto francamente siete uno dei primi partiti a farlo. Perché questa scelta? E che cosa chiedete nel concreto?
Noi abbiamo iniziato l’azione sui suoli nel 2006. Quell’anno la Ue aveva emanato la prima strategia tematica sul suolo. In essa venivano indicate in modo preciso quali fossero le minacce che incombono sui suoli e si invitava ogni Stato a intervenire. Si citavano l’impermeabilizzazione, l’erosione, perdita di sostanza organica, salinizzazione, compattazione.
Partendo dalla strategia tematica, lo stesso anno abbiamo presentato un progetto di legge sulla tutela del suolo. Lo abbiamo ripresentato a ogni legislatura, aggiornandolo sulla base delle ultime novità scientifiche. Ma non abbiamo mai trovato ascolto.

I principali dati di sintesi del Rapporto sul consumo di suolo 2021. FONTE: ISPRA.
Secondo lei, perché questo avviene?
Diciamolo sinceramente: il suolo nella larga parte della politica italiana non è ancora percepito come un problema. E questo è un paradosso: se oggi mettessimo su un grafico l’andamento dello stato della qualità delle acque e dell’aria, i parametri sono mediamente in miglioramento. Per il suolo questo non avviene. I dati sono in netto e costante peggioramento. Fregandocene del futuro, continuamo a consumarlo e a distruggerlo. Serve quindi una legge sul suolo. Ma non deve solo dire: stop al consumo di suolo. Oltre a riportare le proposte tecniche di miglioramento del suolo avanzate dalla Ue, noi proponiamo la compensazione ecologica. Questo approccio, anche nella legislazione italiana, viene già applicato in molti altri ambiti.
Se io ho un suolo di mia proprietà, nel momento in cui danneggio quel suolo, non danneggio solo la mia proprietà. Quel suolo infatti svolge una funzione pubblica: filtra le acque, può accumulare il carbonio organico diminuendo la percentuale di CO2 in atmosfera e mitigando gli effetti dei cambiamenti climatici, produce alimenti, regima le acque riducendo gli effetti devastanti delle alluvioni.
Quando distruggo un suolo, danneggio un valore della comunità. Quindi devo pagare.
Posso farlo sottoforma di denaro da usare per recuperare altri terreni degradati. E’ la logica del “consumo netto zero” che è il cuore della Strategia sul suolo presentata dalla Ue a metà novembre. Altrimenti, pago il danno alla collettività.
In pratica proponete di creare uno stretto legame tra la perdita della risorsa naturale e il valore della risorsa stessa.
Questa è la chiave. In questo modo si mette in legame ambiente ed economia. Si supera la dicotomia tra chi dice solamente “stop al consumo di suolo” e chi dice “in virtù dello sviluppo economico, non possiamo fermarne il consumo”. In questo scontro, vince sempre chi non vuole vincoli. Si guarda sempre allo sviluppo economico e ai posti di lavoro immediati.
Se inseriamo invece nella legislazione il valore del suolo perso riusciamo ad arrivare con l’obiettivo sfruttando la leva economica e finanziaria. Non diciamo nulla di nuovo: la Germania lo fa dalla fine degli Anni 80. Non ha annullato il consumo di suolo ma lo ha ridotto molto di più di quanto abbiamo fatto noi. In questo modo, spingiamo a utilizzare aree già degradate, recuperandole, invece di danneggiare aree vergini.
La strategia Ue annunciata il 17 novembre dovrebbe portare entro due anni a una norma comunitaria sulla protezione del suolo. 10 Paesi membri hanno firmato una lettera in cui dichiarano il loro sostegno. L’Italia non è tra di essi. Credete che la scelta di Bruxelles vada nella giusta direzione?
Già nel 2006, nella prima Strategia Ue, era allegato il testo di una direttiva comunitaria che nelle intenzioni di allora doveva essere approvata l’anno successivo. Poi un fuoco di fila guidato dalla Germania bloccò la direttiva. Se ci fosse stata quella norma, noi avremmo già invertito la tendenza al consumo netto di suolo. La presenza di una norma europea che imponga agli Stati membri una strada sia un passo avanti. Comprendo che ci siano Stati meno favorevoli, perché magari hanno già impostato politiche prima della Strategia europea e magari devono fare modifiche alle loro legislazioni. Non comprenderei la contrarietà dell’Italia perché potrebbe averne solo dei vantaggi. Se nel 2023 avremo davvero questo documento, faremmo un passo decisivo, al pari di quanto avvenuto con aria, acqua e agricoltura.
Molti Stati hanno parecchio da perdere nel breve termine ed è prevedibile che alcuni cercheranno di insabbiare o annacquare il provvedimento. Come si superano particolarismi e scelte non lungimiranti?
La risposta non può riguardare solo le tematiche ambientali ma servono riflessioni più generali. Dobbiamo arrivare a una sorta di federazione europea, che permetta di mantenere le proprie autonomie. Ma sulle politiche ambientali, sanitarie, economiche, di politica estera e di difesa l’Europa deve assumere una centralità molto più forte. Speriamo che l’attuale stato di crisi possa rappresentare un’occasione per fare un passo in avanti in tal senso. Altrimenti i particolarismi e i piccoli egoismi vinceranno sempre. Per questo, se devo fare una previsione, pur con tutte le buone intenzioni con cui parte la nuova Strategia sul suolo, ho paura che assisteremo a un pericoloso gioco a edulcorarla.