Lo segnala l’ultimo studio del WWF: nell’ultimo anno le praterie hanno ceduto alla conversione quasi 6.500 km2 di suolo. Con ovvie conseguenze per il rilascio del carbonio
di Matteo Cavallito
Nel 2021, ultimo anno per il quale sono disponibili dati definitivi, sono stati convertiti 1,6 milioni di acri (quasi 6.500 km2) di praterie nelle Grandi Pianure statunitensi e canadesi. Il dato porta a quota 32 milioni di acri, ovvero 129.500 km2, l’ammontare totale misurato nella regione dal 2012. Lo riferisce l’ultimo rapporto del WWF.
L’indagine analizza il tasso di conversione dei pascoli negli Stati Uniti e nelle porzioni canadesi delle Grandi Pianure basandosi sui dati dell’ente governativo Agriculture and Agri-Food Canada e del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti.
WWF's 2023 Plowprint Report shows that 1.6 million acres of grassland habitat were destroyed in the Great Plains across the US and Canada in 2021. Learn more: https://t.co/UcTpil2g1X. 1/2 pic.twitter.com/o4WE9nixPW
— World Wildlife Fund (@World_Wildlife) October 26, 2023
L’importanza delle praterie
“La distruzione delle Grandi Pianure non è solo un problema per gli abitanti di Stati come il Montana e il South Dakota”, si legge nel rapporto. “Che si tratti di siccità più frequenti e intense, dovute all’aumento delle quantità di carbonio nell’atmosfera che si verifica quando le praterie vengono arate, o di falde acquifere che non si riempiono a causa della perdita di infiltrazione e dell’aumento del deflusso dai campi coltivati, la perdita delle praterie riguarda tutti noi”.
La questione è ampiamente nota di fronte alla riconosciuta rilevanza di questi ambienti nella regolazione climatica. Una recente pubblicazione della FAO ha stimato che i primi 30 centimetri di suolo delle praterie del Pianeta assorbano ogni anno 63,5 milioni di tonnellate di carbonio. L’applicazione di buone pratiche di gestione, come l’incorporazione dei concimi animali, l’agroforestazione e il pascolo a rotazione, consentirebbe di incrementare lo stoccaggio per un ammontare compreso tra 0,18 e 0,41 tonnellate di carbonio per ettaro ogni anno.
Un fenomeno di lungo periodo
La conversione delle praterie è legata storicamente all’espansione dell’agroindustria americana. Gli Stati Uniti, ricorda il rapporto, restano uno dei maggiori produttori di cibo al mondo. Un primato che contrasta con gli obiettivi di conservazione della natura e della biodiversità. Col passare del tempo, però, le dinamiche sono cambiate e ampie frazioni di pianura sono oggi convertite alla produzione di risorse diverse come i biocarburanti.
“La maggior parte delle praterie con terreni più adatti all’agricoltura è stata arata decenni fa“, prosegue lo studio. Oggi, “In molti casi, le aree erbose rimaste intatte non sono altrettanto produttive per le colture. Spesso, invece, più che la necessità di ampliare le coltivazioni a uso alimentare, a favorire la conversione sono soprattutto gli incentivi introdotti dalla politica”.
Nelle Grandi Pianure oltre 1,3 milioni di km2 sono ancora intatti
Le conseguenze sono note, con danni evidenti per la biodiversità, destinata a ridursi di fronte all’impossibilità delle specie di adattarsi ai cambiamenti imposti dall’uomo. In questo quadro, tuttavia, la situazione non è ancora compromessa e non manca l’opportunità di un cambio di rotta. Secondo il rapporto, nelle Grandi Pianure ci sono ancora quasi 377 milioni di acri – ovvero 1 milione e 364mila km2 quadrati – di praterie non convertite. Da qui l’invito alla politica ad agire.
Il WWF, in particolare, chiama in causa l’imminente rinnovo del Farm Bill, la normativa che disciplina la politica agricola statunitense e che viene rivista ogni cinque anni (l’ultima volta nel 2018). L’organizzazione chiede quindi al Congresso USA di garantire una serie di provvedimenti. Tra questi il mantenimento del pacchetto di finanziamenti da 20 miliardi di dollari per le attività di conservazione previsto dal recente Inflation Reduction Act. Ma anche il rafforzamento di altre iniziative (come il Conservation Reserve Program che compensa gli agricoltori che rimuovono dalla produzione agricola terreni sensibili dal punto di vista ambientale), e il coinvolgimento delle comunità native nei territori interessati.