30 Ottobre 2023

Uno studio svedese mostra che il contenuto di carbonio nel suolo delle praterie globali aumenta con la diversità delle piante e che questa relazione è particolarmente forte nei climi caldi e aridi

di Matteo Cavallito

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Lo stock di carbonio nel suolo delle praterie globali diminuisce al calare della biodiversità vegetale. Un fenomeno particolarmente evidente nelle aree più calde e aride. È questa la conclusione di uno studio a cura dell’Università Svedese di Scienze Agrarie di Uppsala i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications. La conclusione dei ricercatori è che una vegetazione povera di specie sembra decomporsi più velocemente nel suolo.

La ricerca assume un significato particolarmente importante almeno per due motivi. Da un lato la portata del fenomeno: un terzo dello stock globale di carbonio terrestre è immagazzinato infatti nelle praterie. Dall’altro l’importanza della comprensione del meccanismo di sequestro del carbonio alla luce degli sforzi per mitigare il cambiamento climatico.

Un legame tra carbonio e diversità vegetale

Lo studio ha esaminato 84 praterie distribuite su un totale di sei continenti. I 29 ricercatori impegnati, guidati da Marie Spohn, docente del Dipartimento di Suolo e Ambiente e Biogeochimica dei suoli forestali della stessa università svedese, hanno avuto così la possibilità di esaminare pianure molto diverse tra loro come steppe del Nord America, la savana del Serengeti, la tundra delle Svalbard e i pascoli naturali delle Alpi per citarne solo alcune.

I risultati, sottolinea una nota dell’ateneo svedese, mostrano che il contenuto di carbonio nel suolo aumenta con la diversità delle piante nelle praterie globali e che questa relazione è particolarmente forte nei climi caldi e aridi.

La spiegazione emersa differisce dalle ipotesi iniziali. I ricercatori, infatti, avevano identificato il fattore decisivo nella tendenza delle praterie ricche di specie a produrre più biomassa vegetale in superficie. Determinante, invece, è risultata la “relazione tra la ricchezza di specie e la composizione chimica della vegetazione”.

I fattori che influenzano la decomposizione

Nelle praterie ricche di specie, spiegano i ricercatori, la biomassa vegetale registra un rapporto carbonio-azoto più elevato. Semplificando: contiene più carbonio. Il risultato è che le piante contengono a loro volta meno proteine in relazione alla quantità di fibre e tale materiale vegetale viene decomposto più lentamente nel suolo. “La materia organica con un elevato rapporto carbonio-azoto si decompone più lentamente a causa del suo basso valore nutritivo per i microrganismi”, afferma lo studio.

Di conseguenza, “la crescita del carbonio in rapporto all’azoto della biomassa con una maggiore biodiversità riduce verosimilmente il tasso di decomposizione influendo quindi positivamente sul contenuto dell’elemento nel suolo”.

E non è tutto. “La diversità delle piante può influenzare non solo il rapporto tra i due elementi ma anche la varietà dei composti organici nella lettiera delle piante e nel suolo, impattando così sul tasso di decomposizione e sul contenuto di carbonio”, aggiunge la ricerca. La relazione tra diversità vegetale e trattenuta dell’elemento, infine, potrebbe essere legata in parte anche ad altri meccanismi. Una maggiore variabilità della vegetazione, ad esempio, “potrebbe  portare a un’elevata biomassa microbica del suolo e all’aggregazione del terreno, due fattori in grado di promuovere il sequestro di carbonio”.

L’importanza delle praterie

La decomposizione più lenta delle parti vegetali nelle praterie ricche di specie sembra essere quindi decisiva. “Lo studio ha implicazioni di vasta portata, poiché suggerisce che una gestione degli ecosistemi capace di ripristinare la diversità delle piante fa aumentare con ogni probabilità il sequestro di carbonio nel suolo, in particolare nei climi caldi e aridi”, afferma Marie Spohn. La ricerca, inoltre, evidenzia ancora una volta il ruolo centrale delle praterie a livello globale.

Una recente pubblicazione della FAO ha stimato che i primi 30 centimetri di suolo di questi ambienti assorbano ogni anno 63,5 milioni di tonnellate di carbonio. L’applicazione di buone pratiche di gestione, come l’incorporazione dei concimi animali, l’agroforestazione e il pascolo a rotazione, consentirebbe di incrementare lo stoccaggio per un ammontare compreso tra 0,18 e 0,41 tonnellate di carbonio per ettaro ogni anno.