29 Agosto 2022

Per tutelare l’Amazzonia il Brasile sostiene costi unitari centinaia di volte più bassi rispetto a quelli associati alla protezione forestale europea. Ma l’impegno del Governo resta largamente deficitario

di Matteo Cavallito

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L’Amazzonia brasiliana si potrebbe salvare con poca spesa. Basterebbe volerlo. È la conclusione implicita di un recente studio ripreso dalla Ong americana Mongabay. Trasformare oltre l’80% del principale polmone verde del Pianeta in area protetta, suggerisce infatti l’indagine condotta da un pool di ricercatori delle università di Miami, Belém e Rio de Janeiro, significherebbe affrontare un costo complessivo pari alla metà circa rispetto alla spesa sostenuta dall’Unione Europea per la tutela delle sue zone di conservazione.

In Brasile i costi unitari sono bassissimi

Il confronto appare impietoso considerando l’enorme differenza di costo unitario. La spesa annuale europea ammonta a 5,3 miliardi di dollari ed è finalizzata alla protezione di appena un milione di ettari di territorio. In Brasile le aree protette si estendono per 220 milioni di ettari, pari al 51% dell’Amazzonia. Ampliare la tutela su altri 130 milioni di ettari di territorio – arrivando così a proteggere l’83% della foresta – comporterebbe una spesa iniziale compresa tra 1 e 1,6 miliardi di dollari.

Una volta completata l’operazione, i costi di manutenzione annuali dell’intera area protetta sarebbero compresi tra 1,7 e 2,8 miliardi di dollari all’anno.

Considerando che l’estensione di quest’ultima supera di oltre duecento volte l’ampiezza del territorio salvaguardato nel Vecchio Continente, appare quindi chiaro come i costi unitari per ettaro risultino a conti fatti incredibilmente contenuti.

Il calcolo

A determinare il divario è soprattutto l’ampiezza dei territori che appaiono molto meno disaggregati nel confronto con gli omologhi europei. “Un fattore chiave che spiega la differenza tra i costi è la distribuzione delle rispettive aree protette in Amazzonia e in Europa”, scrive Mongabay citando José Maria Cardoso da Silva, ricercatore del Department of Geography and Sustainable Development, della University of Miami e coautore dello studio.

“Mentre il sistema europeo comprende centinaia di piccole unità di conservazione situate in aree densamente popolate”, rileva la Ong, “in Amazzonia i territori protetti consistono in ampie zone di foresta a bassa densità di popolazione”.

Il calcolo della spesa tiene conto in primo luogo del costo del lavoro previsto nelle diverse aree tutelate – le terre indigene, le terre pubbliche libere e le aree prioritarie per la conservazione – e del numero di operatori necessari per gestire ogni territorio. Per realizzare una stima attendibile, gli studiosi hanno preso in considerazione gli stipendi medi annuali dei dipendenti delle aziende pubbliche, ottenuti dall’Istituto brasiliano di geografia e statistica (IBGE), raddoppiando il totale. In questo modo è possibile ottenere una cifra realistica che tenga conto degli ulteriori oneri come la manutenzione delle infrastrutture, i trasporti e altro ancora.

Sotto accusa la gestione dell’Amazzonia

Lo studio evidenzia le notevoli carenze di gestione dell’Amazzonia chiamando implicitamente in causa le scelte del governo. Le cosiddette “terre pubbliche libere” presenti nella foresta, ad esempio, potrebbero essere trasformate facilmente in aree protette. Ma in molti casi questo non avviene. Uno studio del 2020 a cura dell’Università di Belém, ad esempio, ha evidenziato come quasi un quinto (23%) dei 49,9 milioni di ettari di terreni pubblici liberi nell’Amazzonia brasiliana sia registrato illegittimamente come proprietà privata.

Inoltre, una ricerca diffusa negli ultimi mesi sulla rivista Environmental Research Letters, ha sottolineato come nel biennio 2019-20 quasi il 98% delle segnalazioni relative a pratiche di deforestazione illegale nella regione si sia tradotto in un nulla di fatto. L’indagine, a cura di un gruppo di ricercatori guidato da Marcondes G. Coelho-Junior, ricercatore presso l’Instituto de Florestas della Universidade Federal Rural do Rio de Janeiro, rappresenta un evidente atto di accusa nei confronti dell’esecutivo del presidente Jair Bolsonaro.

Pochi investimenti per l’Amazzonia

A evidenziare la portata del problema è anche la ridotta dimensione degli investimenti. Nel 2022, nota Mongabay, il bilancio complessivo delle due principali agenzie di protezione territoriale – il Funai e l’ICMBio – supera di poco i 250 milioni di dollari, una cifra pari ad appena lo 0,03% della spesa pubblica del Brasile. Quello presieduto da Jair Bolsonaro, ricorda ancora la Ong, è inoltre il primo governo dalla fine della dittatura militare (1985) a non aver demarcato nessuno dei 235 territori indigeni tuttora in attesa di riconoscimento ufficiale.

“I costi dell’attuale sistema di protezione dell’Amazzonia brasiliana sono coperti principalmente dal bilancio del governo con il sostegno di iniziative di cooperazione internazionale”, scrivono i ricercatori. “Queste risorse tuttavia risultano insufficienti e c’è un notevole divario di finanziamenti nelle diverse categorie di aree soggette a tutela”.

Negli ultimi anni, scrivono ancora gli autori, gli esecutivi hanno ridotto la spesa a sostegno dei territori. “Tra le ragioni principali di questa scelta ci sono le ripetute crisi economiche e politiche oltre all’atteggiamento antiecologista del governo attuale”.