Gli incendi possono essere previsti attraverso la valutazione dell’umidità del terreno. Ma la raccolta dati sul campo non è sempre facile. Un gruppo di ricercatori USA sta provando a risolvere il problema
di Matteo Cavallito
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L’analisi del suolo potrebbe aiutare a prevenire gli incendi meglio di quanto non facciano le tradizionali previsioni meteo. Lo sostiene un gruppo di ricercatori americani guidati da Tyson Ochsner, docente di scienze botaniche e del terreno presso la Oklahoma State University. Di norma, gli esperti valutano il rischio di diffusione delle fiamme a partire da variabili come le precipitazioni e la siccità. Ma lo studio di fattori specifici, a partire dalla concentrazione di acqua nel suolo, spiegano i ricercatori, potrebbe portare a previsioni più efficaci.
“Negli ultimi dieci anni, i ricercatori hanno imparato che le informazioni sull’umidità del suolo possono contribuire a migliorare la valutazione del pericolo di incendi in molte località, sostituendo indici di siccità obsoleti e migliorando le previsioni sul carico di combustibile”, ha dichiarato Ochsner, ripreso dalla Soil Science Society of America. La scarsa umidità, infatti, impedisce alle piante di crescere facendole seccare e fornendo così il combustibile per le fiamme.
L’importanza dei dati
“Pochi sistemi di classificazione del pericolo di incendio esistenti incorporano informazioni sull’umidità del suolo”, hanno spiegato i ricercatori nel corso di una recente presentazione, “anche se queste ultime sono sempre più numerose e hanno dimostrato di poter contribuire a migliorare le previsioni”.
Il risultato è che “la possibilità di fornire avvisi più accurati e tempestivi non è sfruttata in pieno mentre l’aumento delle attività degli incendi boschivi danneggia i sistemi umani e naturali in varie zone del mondo”.
Il problema, notano però gli studiosi, è che mentre le osservazioni meteo possono contare sulla presenza di una rete consolidata di stazioni di rilevamento e satelliti, la capacità di monitoraggio del suolo resta molto limitata. “Uno dei problemi principali è che non disponiamo di osservazioni adeguate dell’umidità del terreno nelle foreste”, spiega Ochsner “Esistono poche stazioni di monitoraggio a terra e i satelliti che utilizziamo per osservare il fenomeno dallo spazio hanno difficoltà a penetrare attraverso le chiome degli alberi”.
Il progetto
Per rispondere a questo problema, Ochsner e gli altri ricercatori hanno sviluppato un progetto insieme alla U.S. Forest Service, il Servizio forestale del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. L’iniziativa ha portato alla realizzazione di un modello predittivo chiamato TOPOFIRE, per migliorare le valutazioni sul suolo.
“TOPOFIRE migliora alcuni modelli precedenti, tenendo conto in modo più accurato degli effetti della topografia sull’umidità del suolo, come la tendenza dei versanti esposti a nord a essere più freschi e umidi”, ha dichiarato Ochsner. “Questo potrebbe rivelarsi particolarmente utile per prevedere il pericolo di incendi nelle regioni montuose”.
Creato con il sostegno del South Central Climate Adaptation Science Center, del National Integrated Drought Information System e del programma di scienze applicate della NASA, il modello si integra con le rilevazioni a terra consentendo, secondo gli autori, un’efficace attività di prevenzione degli incendi.
Gli incendi sono sempre più devastanti
La questione è di primaria importanza alla luce degli ultimi dati. Gli anni 2020 e 2021, ricordano infatti gli autori, sono stati i peggiori nella storia degli incendi in California. Il cambiamento climatico contribuisce da tempo ad aggravare il problema. Negli USA, l’area interessata ogni anno dalle fiamme è più che triplicata negli ultimi 40 anni.
Il fenomeno riguarda anche il Vecchio Continente. Secondo le stime della Commissione Europea, nel 2019 e nel 2020 la stagione degli incendi si è allungata rispetto al passato mentre il numero di roghi e l’area bruciata hanno superato la media degli ultimi dodici anni.
A oggi l’85 % delle aree bruciate si colloca a sud dove Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Grecia perdono in media quasi 500mila ettari all’anno. L’aumento del pericolo incendi, in ogni caso, è segnalato anche nell’Europa nord-occidentale e centrale.