Territori devastati, acqua contaminata: l’impatto degli incendi si fa sentire per anni generando costi enormi. Nel 2020 il disastro californiano è costato lo 0,7% del PIL USA. La soluzione è sempre la stessa: tutelare il terreno per prevenire le fiamme
di Matteo Cavallito
Quando gli ultimi fuochi si estinguono e gli incendi presentano il conto l’attenzione degli osservatori si concentra tipicamente sui paesaggi spettrali e le conseguenze immediate. Ma la dimensione reale dei danni, in questi casi, emerge con forza, in realtà, solo dopo molto tempo. Lo spiega nel dettaglio il New York Times con un reportage dal Colorado, uno degli Stati più colpiti dal fenomeno. “Circa due terzi dell’acqua potabile negli Stati Uniti ha origine nelle foreste”, scrive il quotidiano. “E quando gli incendi colpiscono gli spartiacque, le città possono affrontare un diverso tipo di impatto, anche molto tempo dopo che le fiamme si sono spente”.
Gli occhi dei residenti dello Stato sono ora puntati sulle pendici del Front Range, la catena montuosa più colpita dai roghi. Il timore è che le piogge possano trascinare con sé ciò che gli incendi hanno prodotto – ovvero sedimenti, nutrienti disciolti, detriti e metalli pesanti – contaminando i corsi d’acqua. L’ipotesi è che l’afflusso di questo materiale posa danneggiare i serbatoi costringendo i centri urbani a cercare fonti alternative di approvvigionamento.
Map of forest fires and smoke cover across North America.
Via FireSmoke Canada, which also has a smoke forecast for the next couple of days here: https://t.co/IH7OOFeps4 pic.twitter.com/0QhZUZ83SN
— Robson Fletcher (@CBCFletch) July 19, 2021
La (costosa) lezione del Colorado
L’area del fiume Big Thompson, nel cuore del Colorado, si caratterizza per la presenza di 173 laghi e quasi mille miglia di corsi d’acqua. Qui, scrive il NY Times, i soli lavori di ripristino delle terre private costeranno 35 milioni di dollari e le sovvenzioni governative, al momento, sono ben lontane dal coprire le esigenze della comunità. A preoccupare i gestori delle risorse idriche è soprattutto lo scenario previsto per i prossimi anni. “Non tutti i sedimenti che si staccano dai pendii ed entrano nei fiumi scendono immediatamente a valle intaccando i serbatoi e gli impianti di trattamento”, scrive il quotidiano. “La maggior parte si deposita lungo la strada, accumulandosi sulle rive dei fiumi, nelle pianure alluvionali e in altre aree dove l’acqua scorre più lentamente. Le tempeste estive degli anni successivi possono smuovere questi sedimenti, che vengono poi trasportati a valle, causando nuovi problemi”.

Il Front Range, una delle catene più colpite dagli incendi nelle ultime settimane negli USA, è inserita nelle Montagne Rocciose meridionali, fra la parte centrale dello Stato americano del Colorado e la parte sud-orientale dello Stato americano del Wyoming. È la prima catena montuosa che si incontra spostandosi verso ovest lungo il 40° parallelo nord attraverso le Grandi Pianure del Nord America. FOTO: Ken Lund, 2014.
Tutelare il suolo per prevenire gli incendi
Tra gli incendi e lo stato del suolo esiste un rapporto complicato. Quando le fiamme si sviluppano rapidamente, osserva ancora il NY Times, il rischio di un danno di lungo periodo può essere scongiurato. Ma quando il fuoco avanza con lentezza fagocitando gli alberi, il sottobosco e lo strato organico del terreno, i composti ormai inceneriti saranno vaporizzati nell’aria per poi ricadere a terra limitando la capacità di quest’ultima di assorbire l’acqua. Questo fenomeno genera un rischio maggiore di erosione. Ma è sempre il suolo, tuttavia, a offrire al tempo stesso una soluzione.
“La gestione degli incendi corrisponde alla gestione della terra e viceversa” ha osservato in passato la Commissione europea. La composizione vegetale e il carico di materia soggetta a combustione, infatti, sono influenzati dal trattamento delle foreste. Per questo motivo, dunque, è possibile “ridurre il rischio sfoltendo e potando la vegetazione”. Ma anche “assicurando che ci sia un’interruzione tra il livello del suolo e della corona e sostituendo specie a rischio con altre più resistenti”.
Anche l’Europa in allarme
Le strategie di prevenzione e la triste lezione proveniente dagli USA sono destinate ad attirare un crescente interesse proprio nel Vecchio Continente. Anch’esso sempre più colpito dal fenomeno. Nel 2019 e nel 2020, ha rilevato ancora la Commissione, la stagione degli incendi si è allungata rispetto al passato mentre il numero di roghi e l’area bruciata hanno superato la media degli ultimi dodici anni. A pesare sono ovviamente la gestione e l’uso della terra, le condizioni meteorologiche e i comportamenti umani. Ma il ruolo più importante, ovviamente, lo ha assunto il cambiamento climatico che ha esteso la geografia del rischio. Ad oggi l’85 % delle aree bruciate europee si colloca a sud dove Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Grecia perdono in media quasi 500mila ettari all’anno. Ma le stime evidenziano un aumento del pericolo incendi anche nell’Europa nord-occidentale e centrale.
Costi enormi
Tutto questo, ovviamente, si traduce in un vero e proprio disastro contabile. Secondo l’Agenzia Europa per l’Ambiente, i fenomeni naturali estremi legati al clima sono costati al Continente 453 miliardi di euro tra il 1980 e il 2017. Alla fine del 2020, ha affermato una ricerca che ha coinvolto diversi atenei americani e non, i devastanti incendi che hanno colpito la California hanno provocato danni economici colossali. Lo Stato, ha rivelato l’indagine, ha subito perdite per 102,6 miliardi di dollari, tra costi diretti – a cominciare da quelli sanitari – e indiretti. All’elenco di questi ultimi, costituiti dall’impatto economico per le aziende, si aggiungono quasi 46 miliardi di ulteriori danni legati alle conseguenze dei roghi e registrati fuori dai confini dello Stato. A conti fatti, l’ammontare totale delle perdite ammonta a 148,5 miliardi di dollari, lo 0,7% circa del Pil degli Stati Uniti.