19 Settembre 2023

L’appello arriva da Cheese, tradizionale appuntamento dedicato alle eccellenze casearie. Produttori ed esperti concordano: i prati stabili sono serbatoi di carbonio essenziali per la mitigazione climatica e contro la desertificazione. Il lavoro dei pastori è in questo senso essenziale

di Emanuele Isonio

 

Si trovano sulle Alpi, sugli Appennini, nelle zone collinari. Ma ne sopravvivono porzioni importanti anche nella pianura padana, regno dell’agricoltura intensiva. Ogni anno però la loro estensione diminuisce. In montagna per via dell’abbandono, in pianura per l’avanzare di monocolture e cementificazione. Eppure, i prati stabili sono un patrimonio per la collettività. Non solo dal punto di vista ambientale ma anche sociale ed economico. Ecco perché tutelarli e stimolarne la diffusione rappresenta un ottimo investimento che permette di tutelare non solo la biodiversità dei luoghi ma anche la fertilità dei terreni. L’appello arriva dall’edizione 2023 di Cheese, tradizionale appuntamento organizzato da Slow Food a Bra per celebrare le eccellenze del mondo lattiero-caseario.

L’aiuto silenzioso dei prati

“A livello globale, insieme all’acqua, il suolo è la risorsa naturale più a rischio. Per questo avremmo bisogno che tutti gli interventi a favore dell’agricoltura non considerassero marginale il contributo della conservazione dei prati stabili al raggiungimento di obiettivi importanti che l’Europa si è data a livello di green deal e transizione ecologica” spiega Francesco Sottile, docente di Agraria all’Università di Palermo, che ricorda come la cura dei prati stabili è essenziale per contrastare la perdità di fertilità dei suoli.

“L’ultimo rapporto sulla qualità dei suoli dell’Agenzia europea dell’Ambiente calcola che il 70% dei terreni arabili a livello planetario sono interessati da processi di desertificazione. La perdita di prati stabili è una delle fonti primarie di perdita di fertilità. Stiamo quindi mettendo a rischio la risorsa più importante per la produzione agroalimentare”. Inoltre, i prati stabili hanno un ruolo straordinario in termini ecologici. “Sono serbatoi di carbonio importantissimi per gli effetti sulla mitigazione della crisi climatica” aggiunge Sottile.

Non solo: Slow Food ricorda come essi riescano a trasformare l’allevamento da uno dei settori con maggiore impatto sull’ambiente in un’attività che contrasta con la crisi climatica. “Il suolo – sottolinea Serena Milano, direttrice di Slow Food Italia – è il principale strumento per trattenere la CO2. È capace di assorbire un quarto delle emissioni prodotte dall’uomo. Questa capacità cresce con la fertilità e la ricchezza di vegetazione.

Per questo, il suolo ricoperto da prato è in cima alla lista delle soluzioni, addirittura più del bosco: non corre infatti il rischio di liberare in pochi minuti tutto il carbonio custodito a causa di un incendio”.

Sono inoltre ricchi di biodiversità: in montagna si arriva a più di 100 essenze, in pianura almeno a 15. Il pasto ideale per gli impollinatori e per i ruminanti. Le mucche alimentate con erba riescono infatti a produrre un latte molto diverso da quello proveniente da animali alimentati a mais e soia. “Se le mucche mangiano erba e fieno di prato stabile, infatti, latte e formaggi sono ricchi di molecole antiossidanti (come beta-carotene e vitamina E) e di omega 3, acidi grassi importantissimi nel metabolismo del colesterolo, e hanno un spettro di sapori e profumi più ampio e complesso. Insomma, sono più buoni e più sani”.

Sulle Alpi, prati stabili quasi dimezzati dal 1960

Nonostante i vantaggi che i prati stabili potrebbero garantire, i numeri fotografano una loro impietosa diminuzione. Il progressivo spopolamento delle aree montane e di alta collina ha prodotto conseguenze importanti. Dal 1969 – ricorda Slow Food – la Ue ha perso il 16% dei suoi pascoli. Sulle Alpi la situazione è ancora peggiore: meno 45% in cinquant’anni. Secondo alcune stime, a partire dal 1960, circa 800mila ettari tra prati e pascoli sono stati abbandonati. Per quanto riguarda il territorio italiano, se ne contano circa 32mila chilometri quadrati. Ma in 30 anni, la loro superficie totale è diminuita del 25%, molto spesso perché vengono lasciati all’incuria. Fenomeno particolarmente evidente in alcuni territori, come Veneto, Molise e soprattutto la Liguria, nella quale le terre abbandonate rappresentano il 90% della superficie regionale.

Dati che dimostrano come le scelte e gli interventi dell’uomo siano essenziali per conservarli, invece di vederli sostituiti da boscaglia e boschi. “Per mantenere in salute i prati stabili, l’uomo deve gestirli in termini di raccolta del foraggio, di sfalcio e cura del pascolo” spiega Sottile.

Valorizzare i prodotti ottenuti da prati stabili

Non a caso, l’evento organizzato a Bra è uno dei tasselli della strategia pensata da Slow Food per sensibilizzare circa l’importanza di tutelare i prati stabili. Lo scorso anno l’associazione fondata da Carlo Petrini aveva avviato il progetto “Salviamo i prati stabili e i pascoli”. Obiettivo: aiutare gli allevatori di pianura a riconvertire i terreni sfruttati e sostenere i loro colleghi di montagna nella protezione di queste terre “riconoscendo e valorizzando il loro prezioso lavoro di conservazione ambientale”.

Nell’ambito del progetto sono state realizzate linee guida per selezionare i produttori e redigere un disciplinare per la gestione del prato stabile e la realizzazione di latte e formaggi provenienti da animali al pascolo. È inoltre in corso una mappatura delle realtà italiane virtuose che hanno sviluppato operazioni come l’installazione di apiari, la semina di specie vegetali attrattive per gli impollinatori e la creazione di etichette per i prodotti derivanti dai prati stabili. La valorizzazione economica dei prodotti realizzati dagli agricoltori che, con il loro lavoro, aiutano a mantenere in salute i prati, è infatti un elemento fondamentale per rendere sostenibile questo tipo di attività.