Nel mondo ogni 60 secondi vengono impermeabilizzati 17 ettari di terreno. È il fenomeno del soil sealing, alimentato soprattutto dalla crescente urbanizzazione. Un problema globale con Asia e Africa nell’occhio del ciclone
di Matteo Cavallito
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Immaginate di ricoprire porzioni di terreno con qualcosa di impermeabile, bloccandone il “respiro” e il dinamismo dei suoi processi vitali. Il risultato sarà sempre lo stesso: suolo degradato, perdita di fertilità e biodiversità, disidratazione del terreno e molto altro ancora. Sono questi, ma l’elenco è parziale, i principali effetti del soil sealing, un fenomeno che nella sola Italia si mangia una media di 16 ettari di superficie al giorno. Tra i fattori principali c’è ovviamente la cementificazione legata in primo luogo alla crescita degli spazi urbani. Dalla metà degli anni ’50 ad oggi, rileva la European Environment Agency, l’area complessiva occupata dalle città del Vecchio Continente è cresciuta del 78% a fronte di un aumento della popolazione pari ad appena il 33%.

Il fenomeno del soil sealing è ampiamente diffuso. La situazione si sta aggravando nella maggior parte delle regioni del Pianeta. Immagine: Fao, 2016
La giungla d’asfalto? In Asia e Africa
Il trend è visibile anche a livello globale e, quel che più conta, appare destinato a confermarsi in futuro. La quota di popolazione residente nelle aree urbane, segnala l’ultimo World Cities Report delle Nazioni Unite, dovrebbe passare dall’attuale 56,2% al 60,4% entro il 2030. A trainare il fenomeno saranno quasi esclusivamente le città delle aree meno sviluppate dell’Africa e dell’Asia orientale e meridionale che contribuiranno da sole al 96% della crescita dell’urbanizzazione globale. Circa un terzo dell’incremento della popolazione urbana mondiale da qui al 2050 arriverà da appena tre Paesi: India, Cina e Nigeria.
Cibo, CO2, clima: un disastro ad ampio raggio
Nel mondo, avverte la Fao, il soil sealing viaggia al terrificante ritmo di 17 ettari al minuto. L’impermeabilizzazione dei terreni, in altre parole, procede inesorabile coprendo circa 10 chilometri quadrati di spazio ogni ora. Morale: il suolo perde la capacità di svolgere la maggior parte dei suoi servizi ecosistemici tra cui la produzione di cibo e fibre. Il terreno, inoltre, cede gran parte della sua efficacia nella cattura del carbonio favorendo così il cambiamento climatico. Per le nazioni emergenti e in via di sviluppo, in particolare, i problemi iniziano a porsi con crescente evidenza. Negli ultimi tempi, ad esempio, il Bangladesh ha denunciato come l’espansione urbana stia provocando la scomparsa dell’1% dei suoi terreni agricoli ogni anno.

Nel mondo il soil sealing colpisce 17 ettari di terreno ogni minute. Immagine: Fao, 2016
UE e Onu per la tutela del suolo
Non è un caso che la comunità internazionale si sia mossa negli ultimi anni per promuovere provvedimenti urgenti a tutela del suolo. Nel 2013 sia il Parlamento sia il Consiglio europeo si sono posti l’obiettivo di azzerare il consumo di suolo netto (la differenza tra lo spazio consumato e quello restituito alle sue funzioni naturali) entro il 2050. Attualmente la più recente Soil Health and Food Mission UE punta a garantire la salute del 75% dei terreni continentali entro il 2030. Entro la stessa data, infine, l’Onu si augura di poter centrare i due traguardi fissati cinque anni or sono: registrare un saldo non negativo del degrado del territorio (ovvero un pareggio o un avanzo di bilancio tra i fenomeni di riduzione o recupero di produttività biologica ed economica del suolo) e allineare il consumo dei terreni alla crescita demografica reale.