Saperi tradizionali e scienza moderna: così la comunità Navajo sviluppa un’agricoltura rigenerativa promuovendo la salute e la sicurezza alimentare. Il racconto del New Humanitarian
di Matteo Cavallito
Una storia di resistenza e tradizione, due concetti che per la comunità Navajo e i popoli originari più in generale sono tanto cruciali quanto fondativi. Ma, soprattutto, una storia decisamente contemporanea, in un’America sempre più sensibile alle potenzialità di una risorsa tanto antica quanto moderna: l’agricoltura tradizionale. A raccontarla è il New Humanitarian, un’agenzia di stampa no profit di base a Ginevra, con un reportage da Vanderwagen, comunità non incorporata della contea di McKinley, nel New Mexico nord-occidentale.
È qui, spiega il reporter, che si colloca la Spirit Farm, un’azienda agricola devota alle colture rigenerative fondate sull’incontro tra metodi ancestrali e tecniche odierne. “Dal 2014, stiamo sviluppando una fattoria modello che guarisce il suolo attraverso l’uso consapevole della microbiologia e del compostaggio”, si legge nel portale della comunità. “Il nostro obiettivo è insegnare uno stile di vita sostenibile attraverso l’agricoltura biologica e la tutela del cibo”.
L’importanza delle pratiche tradizionali Navajo
Le pratiche agricole dei Navajo si mescolano oggi con le conoscenze scientifiche. Il direttore di Spirit Farm, James Skeet, e sua moglie, scrive il New Humanitarian, “stanno lavorando con i ricercatori per studiare gli organismi che si nutrono di piante e che mantengono l’acqua nel loro suolo”. Come “funghi, nematodi, protozoi e artropodi”. Applicando alcune tecniche tradizionali – come l’aggiunta di compost e l’inserimento di barriere per garantire ombreggiatura e protezione dal vento – gli Skeet hanno rilevato una crescita delle presenza dei funghi nel terreno.
Inoltre, “Hanno scoperto che le verdure coltivate con tecniche simili avevano una densità di nutrienti superiore all’80% delle verdure biologiche certificate e al 100% di quelle coltivate in modo convenzionale e acquistate nei negozi di alimentari che hanno esaminato”.
L’esperienza, insomma, chiama in causa l’importanza dell’equilibrio del terreno e le ricadute positive per la salute umana. Due aspetti essenziali che oggi, in particolar modo, attraggono comprensibilmente crescente attenzione.
Ricadute positive per suolo e salute
Negli anni, scrive ancora l’agenzia, i gestori di Spirit Farm “hanno trattato il loro appezzamento di terreno con fertilizzante proveniente da animali nutriti con mais fermentato per ottenere un’equilibrio intestinale ottimale”. L’insieme delle pratiche utilizzate, inoltre, “ha contribuito a creare un terreno più fertile e un’abbondanza di uova, carne e verdure nutrienti”.
Ma a spiccare è soprattutto l’autosufficienza raggiunta che ha garantito la piena sicurezza alimentare in ogni momento. Anche quando la prima ondata della pandemia ha impattato sulla catena di fornitura nel mercato americano.
Tra gli obiettivi di Spirit Farm c’è anche la promozione di una dieta sana, che viene vista come una risposta a un’ingiustizia storica che colpisce le comunità economicamente più disagiate. Negli USA, i popoli nativi, compresi i Navajo, registrano un’incidenza di malattie cardiache, diabete e obesità molto più alta della media. La loro aspettativa di vita, inoltre, è inferiore di sette anni rispetto a quella dei bianchi. Nella prima fase della pandemia, infine, il tasso di mortalità rilevato presso i popoli originari degli Stati Uniti è stato il più alto tra tutti i gruppi etnici.
Dagli USA alla FAO: più attenzione per le pratiche tradizionali
L’esempio offerto dai Navajo del New Mexico non rappresenta un caso isolato. L’uso delle pratiche agricole tradizionali è diffuso presso le comunità native di tutto il mondo. E raccoglie, da qualche anno, un ampio riconoscimento istituzionale. A novembre, ad esempio, la Casa Bianca ha diffuso un memorandum “che impegna ad elevare le conoscenze ecologiche tradizionali indigene nei processi scientifici e politici federali”.
Rilevante anche il sostegno espresso dalla FAO nei confronti dell’agroecologia, la disciplina che studia l’applicazione dei principi ecologici all’agricoltura. E che, come ha rilevato il docente dell’università di Berkeley Miguel Altieri, agronomo ed entomologo cileno, uno dei massimi esponenti della dottrina, rappresenta un punto di incontro tra sapere tradizionale e scienza moderna. L’agroecologia, sostiene l’organizzazione, “gioca un ruolo importante nel contribuire all’eliminazione della fame e della povertà estrema”. E rappresenta uno strumento “per facilitare la transizione verso sistemi alimentari più produttivi, sostenibili e inclusivi”.