1 Febbraio 2021

Gli scarti del mais sono una risorsa preziosa per rendere il suolo più produttivo senza effetti collaterali e aumentare la redditività dei campi. Negli Stati Uniti una ricerca ne promuove l’uso efficace per l’allevamento e l’agricoltura

di Matteo Cavallito

 

Ascolta “"Corn" in the USA” su Spreaker.

I residui di mais? Una ricchezza sconosciuta in grado di fare la differenza per gli animali, gli agricoltori e il suolo. È la tesi argomentata da una recente ricerca statunitense sulle potenzialità di quell’insieme di foglie, bucce, chicchi e pannocchie essiccate al sole che caratterizzano il paesaggio letterario del Midwest americano. Fascinazione bucolica, certo, ma non solo. Perché la verità, sostiene Morgan Grabau, membro dell’American Society of Agronomy e autrice dello studio, è che quei corn litter, gli “scarti del mais”, appunto, sono “una risorsa sottoutilizzata”. Capace però di far aumentare la redditività dei campi e favorire la sicurezza alimentare tanto per il bestiame quanto per gli esseri umani.

Pascolo? No problem, ci pensa il mais

Centrale, nell’indagine, è il ruolo del pascolo. La necessità di aprire spazio “vitale” per il bestiame d’allevamento rappresenta in molti casi una nota minaccia per il suolo. Il disboscamento con successivo impianto di erba da foraggio è uno scenario tipico. L’apertura dei campi coltivati agli animali, dopo la raccolta, è un’alternativa poco apprezzata visto che il pascolo animale, di norma, tenderebbe a compattare il terreno limitandone la successiva resa. Lo studio della Grabau e del suo team di ricerca, tuttavia, evidenzia come un uso efficiente dei campi di mais possa garantire al contrario un’alternanza pacifica e vantaggiosa tra l’attività agricola e l’allevamento.

“Effetti minimi sulle proprietà del suolo”

L’indagine si è concentrata su alcuni campi del Nebraska nei mesi di febbraio e marzo quando, a differenza di ciò che accade nel periodo autunnale e invernale, le temperature più alte rendono il suolo potenzialmente vulnerabile agli effetti del pascolo. Operando sulle diverse variabili in gioco – tempo trascorso e numero di bovini – la Grabau e i suoi ricercatori hanno osservato però “effetti minimi sulle proprietà del suolo e sulla sua resa”. Anzi, la concentrazione di un elevato numero di animali in un periodo di due settimane avrebbe addirittura aumentato la produttività del terreno, successivamente seminato a soia. Il bestiame, in pratica, avrebbe rimosso, nutrendosene, un maggiore quantitativo di scarti favorendo un rialzo della temperatura del suolo con effetti benefici per il suo rendimento.

Campi USA: 85% di potenziale inesplorato

“La compattazione non è permanente”, ha precisato ancora la Grabau sottolineando, in questo senso, anche il ruolo della preziosa attività microbica nel favorire un allentamento del terreno. Il risultato finale, aggiunge, è “l’integrazione di colture e bestiame” in un sistema di produzione capace di portare un mutuo beneficio. I residui di mais si trasformano in foraggio salutare ma a basso costo. Mentre il pascolo, lungi dal costituire uno spauracchio, si svolge senza danni favorendo, in alcuni casi, un incremento della produzione agricola. E il bello, suggeriscono le cifre, è che il potenziale appare ancora largamente inesplorato. Ad oggi, segnala la ricerca, “solo il 15% dei terreni coperti di residui di mais negli Stati Uniti centrali è destinato al pascolo”.