21 Aprile 2021

Il compost a base di fanghi è in grado di ripristinare a breve termine le proprietà e la fertilità del terreno a rischio. Le implicazioni per l’area mediterranea sono notevoli. Ma l’Italia è in ritardo

di Matteo Cavallito

 

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I fanghi di depurazione? Sono una risorsa decisiva per il ripristino dei suoli degradati. Lo evidenzia uno studio sugli effetti a breve termine dell’applicazione a dosaggio variabile del compost prodotto a partire dai fanghi stessi, derivanti a loro volta dalla raccolta delle acque reflue urbane. I risultati sono di stretta attualità a fronte delle loro implicazioni soprattutto per l’area mediterranea dove ad essere particolarmente diffusi sono i terreni semiaridi, porzioni di natura pericolosamente sospese al proprio bivio “esistenziale”. Tra prospettive di recupero e abbandono definitivo.

Suoli più fertili grazie ai fanghi

La ricerca ha descritto l’impatto di quattro compost a concentrazione crescente in combinazione con un fertilizzante naturale, il nitrato di ammonio. L’indagine ha coinvolto gli studiosi Maddalena Curci, Giovanna Cucci, Giovanni Lacolla e Carmine Crecchio dell’Università di Bari in collaborazione con Anna Lavecchia, dell’Istituto di Biomembrane, Bioenergetica e Biotecnologie Molecolari del capoluogo pugliese, e Ugo De Corato, del Dipartimento di Bioenergia dell’ENEA.

Nei suoli, soggetti alla coltura di grano, orzo e patate, la presenza di elementi essenziali per la salute dei campi come carbonio organico e azoto è cresciuta in modo sensibile, con punte del 66% e del 39% rispettivamente. Significativo anche l’aumento del fosforo disponibile e del potassio scambiabile (quasi raddoppiato il primo, +15% per il secondo) così come l’umidità del terreno, salita in misura variabile ma sempre con tassi a doppia cifra percentuale. Semplificando: effetti positivi per le proprietà del suolo e crescita della fertilità. Niente male, insomma.

Effetti evidenti a basso dosaggio

A caratterizzare la ricerca sono in particolare due aspetti. A cominciare dalla rapidità degli effetti osservati. “Di norma le valutazioni sui cambiamenti nei suoli agrari si svolgono in un arco temporale di 10 o 20 anni” spiega Carmine Crecchio, professore associato presso il Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti (Di.S.S.P.A.) dell’Università di Bari. “In questo caso la sperimentazione si è posta l’obiettivo di monitorare ciò che avveniva nel breve termine. Ovvero 3 anni”.

Il secondo aspetto consiste nella sostanziale assenza di danni collaterali. L’applicazione dei fanghi, infatti, rende tipicamente più acido il suolo. Un effetto negativo diffuso. Che in questo caso, tuttavia, è stato possibile evitare. “Una delle scoperte più rilevanti del nostro lavoro – prosegue il docente – è che si possono ottenere ottimi risultati nel ripristino delle proprietà del terreno utilizzando bassi dosaggi di compost che hanno un impatto trascurabile in termini di acidità del suolo. Un aspetto molto significativo se si considera che l’eccessiva alterazione del pH rappresenta una delle problematiche più rilevanti nelle strategie di recupero del terreno”.

Microbi protagonisti

L’analisi, infine, ha consentito di sequenziare la fauna microbica del suolo. I risultati possono dunque aprire la strada a ulteriori studi su questi attori decisivi, già protagonisti di recenti ricerche sulle loro potenzialità nello stimolare la fertilità del terreno così come il contrasto al cambiamento climatico. “Fino a qualche anno fa il microbioma del suolo era un mondo sconosciuto” rileva Crecchio. Negli ultimi anni si sono susseguite molte ricerche anche grazie alla disponibilità di nuove tecnologie. Anche il Di.S.S.P.A. ha condotto diversi studi con l’obiettivo di comprendere i ruoli e i componenti delle comunità microbiche. Tutti aspetti legati a doppio filo con la salute del suolo”.

Circolarità: Italia in ritardo

Nell’idea dei ricercatori, al trattamento del suolo si affianca la necessità di valorizzare il riciclo degli scarti in un’ottica circolare. Il tema è di stretta attualità ma il contesto, purtroppo, resta problematico. Una recente indagine di Ref Ricerche, ad esempio, ha rivelato come meno della metà dei fanghi prodotti in Italia sia trattata dagli impianti di compostaggio. Tutto il resto, al contrario, viene smaltito in discarica. Il rischio di sprecare una risorsa utile, insomma, è evidente. E le cause, secondo il docente, sono diverse.

“Abbiamo a che fare innanzitutto con un problema culturale”, spiega. “In alcuni casi agricoltori e aziende sono un po’ restii all’idea di scegliere soluzioni alternative all’utilizzo dei fertilizzanti chimici. Al tempo stesso, devo dire, il sistema accademico e della ricerca appare ancora piuttosto scollegato, almeno in parte, dal mondo della produzione”. Anche la politica, infine, sembra avere le sue responsabilità. E la mancanza di una visione strategica circolare pesa eccome. “In assenza di agevolazione, impiantistica e risorse specifiche – conclude Crecchio – è difficile pensare di affidare tutta la gestione del processo di riciclo all’agricoltore”.