2 Novembre 2021

Secondo l’ornitologo Petr Voříšek la gestione insostenibile dei terreni danneggia gli uccelli comuni delle zone agricole. Il loro indice di biodiversità è crollato negli ultimi 40 anni

di Matteo Cavallito

 

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Da sempre il volo degli uccelli affascina gli osservatori, colpiti nella loro attenzione dalle forme di aggregazione e dalla varietà immensa delle specie. Ma l’ornitologia, è noto, non è certo un semplice hobby. Lo sanno bene gli adepti della disciplina chiamati a valutare, descrivere e classificare le caratteristiche dei volatili. E ne sono altrettanto consapevoli gli scienziati del suolo che dallo loro dinamiche possono trarre molte informazioni utili. Già, perché lo studio di questi animali permette di scoprire anche molte cose sull’ecosistema che li circonda. Valutando tendenze, problemi e possibili soluzioni.

L’ornitologia è politica

Lo spiega Petr Voříšek, esponente della Czech Society for Ornithology di Praga in un’intervista diffusa dalla European Environment Agency. Lo scienziato, coordinatore del secondo Atlante continentale degli uccelli nidificanti, è convinto che tra l’attività di osservazione e raccolta dati e l’analisi dell’ecosistema nel suo complesso esista un collegamento diretto. Con evidenti implicazioni.

“Le informazioni sulla distribuzione e l’abbondanza degli uccelli aiutano i decisori a dare priorità alle azioni di gestione e conservazione”, sottolinea nell’intervista. E ancora: “I cambiamenti nella presenza e nella distribuzione di gruppi di specie, come gli uccelli dei terreni agricoli, forniscono segnali sulla salute di un particolare tipo di habitat o sull’impatto di un fenomeno su larga scala come il cambiamento climatico“.

Lo sfruttamento del terreno impatta sugli uccelli

Il problema è che le informazioni in nostro possesso delineano un quadro preoccupante. “L’uso intensivo della terra sta lasciando meno risorse per gli uccelli ed è l’effetto principale della pressione esercitata dagli esseri umani”, prosegue Voříšek. “Il fenomeno è particolarmente evidente per i terreni agricoli e per gli uccelli che utilizzano questo tipo di habitat. Le pratiche intensive, compreso l’uso eccessivo di pesticidi, fertilizzanti e macchinari pesanti o la rimozione di terreni incolti, rendono i suoli agricoli moderni sempre meno adatti agli uccelli e ad altri animali selvatici”.

Ed ecco che i concetti convergono tra loro. Perché se da un lato la protezione delle specie a rischio rappresenta già di per sé un obiettivo, il perseguimento di pratiche agricole sostenibili è parte di un’agenda più ampia. A maggior ragione nell’Europa del Green Deal dove l’agricoltura stessa è tuttora responsabile del 10% circa delle emissioni totali di gas serra.

Crolla la biodiversità: -57% in 40 anni

L’impatto delle pratiche intensive sugli uccelli delle zone rurali, d’altra parte, è un rilevatore della salute stessa dei terreni. E i dati, in questo senso, parlano chiaro. L’allarme viene in particolare dal Farmland birds index, un indicatore utilizzato nella valutazione delle aree agricole europee.

L’idea è che collocandosi in una posizione di vertice nella catena alimentare gli uccelli possano essere anche buoni indicatori per lo stato generale della biodiversità.

Le specie di uccelli presenti nei terreni agricoli europei continua a declinare. Dati Ue, confronto 1990 - 2019. FONTE: Eurostat

Le specie di uccelli presenti nei terreni agricoli europei continua a declinare. Dati Ue, confronto 1990 – 2019. FONTE: Eurostat

 

Espresso in forma percentuale – fissando a 100 il punto di partenza nell’anno di inizio delle rilevazioni – questo indice, spiegano i suoi autori, “misura la variazione dell’abbondanza relativa di specie comuni in determinate aree”. Ebbene, in base agli ultimi dati disponibili, segnala Voříšek, “In Europa il Farmland bird index è calato del 57% tra il 1980 e il 2018 e la distribuzione degli uccelli dei terreni agricoli si è ridotta negli ultimi 30 anni”.

Inoltre, a livello regionale, “osserviamo anche gli effetti negativi dello sfruttamento intensivo delle foreste e delle zone umide dell’entroterra e dell’abbandono dei terreni”. I danni alla biodiversità, insomma, sono evidenti. Una ragione in più, verrebbe quindi da aggiungere, per promuovere un’agricoltura compatibile con la tutela dell’ecosistema.