29 Marzo 2022

Dietro alla rinascita della foresta di Mirema si colloca un’iniziativa dal basso diventata ormai una buona pratica di riferimento per la nazione. Ma anche un nuovo segnale del crescente impegno dell’Africa nella tutela delle sue risorse naturali

di Matteo Cavallito

 

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Trecentomila alberi piantati nello spazio di quattro anni. È la dimensione del successo del progetto di ripristino della foresta di Mirema, in Kenya, teatro di un piano di rigenerazione capace di attirare il crescente interesse degli osservatori. Un progetto fuori dal comune, ha raccontato la ONG statunitense Mongabay, che promette di costituire un nuovo punto di riferimento per le iniziative di tutela e rigenerazione del suolo boschivo.

Situata a 480 chilometri dalla capital Nairobi, la foresta era stata letteralmente devastata per decenni sotto la spinta delle attività estrattive di carbone e oro. Il diffuso disboscamento aveva favorito il dissesto idrogeologico aggravando gli effetti delle alluvioni. Da qui la necessità di intervenire con gli impianti degli alberi per far rivivere il territorio. Niente di nuovo se non fosse per un dettaglio non da poco. A rendere possibile l’iniziativa, infatti, non è stato un piano governativo bensì lo sforzo “dal basso” della comunità locale, costituitasi in un’organizzazione ad hoc: la Mirema Community Forest Association (CFA).

Una best practice “dal basso”

A certificare l’ottimo esito dell’operazione è il tasso di sopravvivenza degli alberi che ha raggiunto la sorprendente quota del 70%. “Rispetto a interventi simili compiuti in tutto il Kenya”, sottolinea Mongabay, “l’iniziativa Mirema è classificata tra le migliori operazioni di rimboschimento guidate dalla comunità grazie all’alto livello di mantenimento delle piante, un risultato che ha attirato l’attenzione del Kenya Forest Service (KFS)”. Ronald Aloo, un’operatore forestale della stessa KFS, ha ricordato infatti come nei progetti governativi la capacità di mettere radici in modo permanente caratterizzi, in media, solo un albero su due.

Dietro alla miglior performance registrata dal progetto Mirema, ha aggiunto, ci sarebbe proprio il coinvolgimento diretto della comunità locale. Di norma, i piani promossi dall’alto, per così dire, si scontrano con lo scetticismo dei residenti, poco propensi ad accogliere le iniziative del governo. L’operazione dal basso, al contrario, ha trovato maggiore collaborazione.

“Non è stato facile chiedere alle persone di lasciare la terra che avevano occupato per quasi due decenni”, ha dichiarato William Odhil, il presidente di Mirema CFA. “C’è stato bisogno di un grande sforzo per far comprendere loro le nostre ragioni”.

Entro cinque anni il completo ripristino della foresta

Dopo la messa in sicurezza dell’area nel 2018, alcuni membri della comunità si sono attivati per sostenere concretamente il progetto. Sono nati così i vivai gestiti grazie al contributo economico degli stessi esponenti della CFA che ha permesso l’acquisto dei semi. Negli stessi vivai sono stati coltivati gli alberi da impiantare successivamente nel territorio. In altre zone della foresta si è invece proceduto alla rigenerazione naturale con l’introduzione dei semi sul posto. Entrambe le tecniche si sono rivelate efficaci.

Ad oggi 405 ettari di terreno, pari al 50% circa dell’estensione originaria della foresta, sono stati completamente rimessi a nuovo. Il Kenya Forest Service, nel frattempo, si è unito all’iniziativa offrendo la sua collaborazione. Un piano di quinquennale elaborato dall’agenzia dovrebbe contribuire al completamento dell’operazione. Il KFS, ricorda inoltre Mongabay, “afferma di essere attualmente impegnato nella stesura di un documento politico che permetterà ad altre iniziative di riforestazione di adottare il metodo di Mirema come esempio di un’iniziativa di successo in Kenya”.

L’Africa contro la deforestazione

La vicenda rappresenta un nuovo segnale della crescente sensibilità espressa dall’Africa nella gestione sostenibile del proprio patrimonio naturale. Negli ultimi anni, infatti, il continente ha sperimentato importanti iniziative fondate tanto sullo slancio individuale quanto sulla programmazione condotta a livello governativo. Tra gli esempi più interessanti, in questo senso, c’è il programma di tutela territoriale realizzato dal Gabon, uno degli Stati più boscosi del mondo.

Con i suoi 23,6 milioni di ettari di foresta, che si estendono per il 90% del territorio nazionale, il Paese ha firmato nel 2019 un accordo con la Central African Forest Initiative, una coalizione internazionale sostenuta dalle Nazioni Unite. L’alleanza, che comprende diversi donatori come Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Francia e Corea del Sud, ha iniziato a erogare al Gabon i primi assegni di un pagamento rateale di 126 milioni di dollari. La cifra, in base all’intesa, serve a ricompensare la nazione per i servizi ecosistemici svolti dalle sue foreste. Premiando così la scelta del governo di limitare drasticamente lo sfruttamento del territorio dopo la decisione di destinare al settore del legname soltanto le foreste di minor valore. Oltre a ospitare una biodiversità particolarmente ampia, dicono le stime, i territori alberati del Paese assorbono ogni anno 140 milioni di tonnellate di CO2. Quasi cinque volte tanto l’ammontare emesso.