L’Università di Zurigo: i terreni con una maggiore presenza di funghi rilasciano minori quantità di CO2. Una scoperta importante per lo studio di nuove soluzioni nel contrasto al cambiamento climatico
di Matteo Cavallito
I funghi possono essere un fattore chiave nel sequestro del carbonio nei suoli. Lo sostiene una recente ricerca diffusa su ISME Communications, la rivista ufficiale dell’International Society for Microbial Ecology. L’indagine, a cura di un’équipe di scienziati guidata da Luiz A. Domeignoz-Horta, microbiologo dell’Università del Massachusetts e del Dipartimento di Biologia dell’Evoluzione dell’Università di Zurigo, fornisce nuove informazioni chiave per la comprensione di un fenomeno decisivo che impatta sulla salute del terreno e sul clima del Pianeta. Evidenziando al tempo stesso le potenzialità di questi microorganismi nella loro interazione con la materia organica.
Suolo, microbi e carbonio: una relazione complicata
Il sequestro di carbonio, come noto, rappresenta una delle funzioni più importanti del suolo. Ma le forme che esso può assumere una volta catturato dal terreno variano notevolmente. In alcune situazioni il carbonio può essere processato e conservato a lungo, anche per un secolo. In altri contesti l’elemento può essere rilasciato rapidamente. Queste dinamiche non sono ancora del tutto chiare e non sorprende, dunque, che molti scienziati stiano cercando di svelare il ruolo di alcuni fattori nel determinare l’andamento di questo ciclo continuo che coinvolge l’ecosistema.
“La velocità del riscaldamento globale dipende in parte dalla persistenza del carbonio organico del suolo”, si legge nella ricerca. “Nello studio abbiamo testato l’ipotesi che microorganismi diversi influenzino la composizione della materia organica del suolo, e che quest’ultima abbia un potenziale di decomposizione differente a seconda della sua comunità microbica di origine”.
L’esperimento
Nel corso dell’indagine Domeignoz-Horta e i suoi colleghi dell’Università di Zurigo hanno osservato alcuni campioni di terreno in laboratorio. Valutandone le reazioni alle attività di cinque differenti combinazioni di funghi e batteri. “Abbiamo inoculato comunità microbiche differenti in una matrice di suolo modificata con cellobiosio (un disaccaride che viene elaborato tramite idrolisi da parte dei microorganismi stessi, ndr) e misurato la stabilità termica della materia organica risultante”, spiegano i ricercatori.
Che aggiungono: “La diversa origine microbica non ha influito sulla composizione della materia organica, ma le comunità di soli batteri hanno reso il carbonio del suolo più labile sotto il profilo termico rispetto a quello soggetto all’interazione congiunta di batteri e funghi”. I risultati dimostrano dunque quanto i microrganismi del suolo siano importanti “nella costruzione di stock di materia organica persistenti“.
I funghi sono decisivi
In sintesi: dopo un periodo di quattro mesi in cui i microorganismi avevano potuto svilupparsi, gli scienziati hanno riscaldato i diversi campioni di suolo misurando le relative emissioni. Ebbene, i terreni con una maggiore presenza di funghi hanno rilasciato una quantità minore di CO2 trattenendo quindi un ammontare maggiore di carbonio.
La causa di tutto questo non è ancora del tutto nota. Ma gli scienziati hanno ipotizzato che i funghi siano in grado di produrre enzimi che sono a loro volta decisivi nella costruzione di veri e propri blocchi di composti organici maggiormente stabili. Pur non svelando completamente tutte le dinamiche di questi processi lo studio offre un contributo importante per la ricerca di nuove soluzioni pensate per favorire la conservazione del carbonio nel terreno. Contribuendo così, grazie a una migliore gestione di quest’ultimo, a contrastare il cambiamento climatico.